Gazprom, a Oriente, può già contare sull’impianto di liquefazione di Sakhalin - in partnership con Shell - e le intenzioni sono di continuare a investire per sviluppare la produzione. Ma non c’è dubbio che l’attenzione di Mosca ora è tutta per la penisola artica di Yamal, dove la Russia pensa di poter produrre - a regime - 360 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Laggiù, in mezzo ai ghiacci, sta sorgendo un ciclopico impianto di liquefazione che presto potrebbe cambiare non pochi assetti nel risiko globale del metano. Il progetto Yamal LNG, oltretutto, parla un po’ italiano poiché gode di un finanziamento da 400 milioni di euro erogato da Intesa Sanpaolo e garantito dalla Sace, la società del gruppo Cdp per l'assicurazione del credito all'estero, che andrà a favore di contratti di subfornitura assegnati a Nuovo Pignone (sussidiaria di Ge Oil & Gas) e a un gruppo di 20 imprese italiane specializzate in tecnologie per l'oil&gas, in prevalenza pmi.
Il progetto, del valore complessivo di 27 miliardi di dollari, prevede la costruzione di un impianto integrato di liquefazione di gas naturale proveniente dal giacimento di Tambey sud e destinato ai mercati europei e asiatici. Una volta realizzato Yamal LNG sarà una delle più grandi facility del settore nell'Artico e incorporerà il porto di Sabetta, un nuovo aeroporto e una centrale elettrica da 380 megawatt. Lo sviluppo e la gestione dei lavori sono affidati alla società veicolo Yamal LNG detenuta dal colosso russo NOVATEK, dal gruppo cinese CNODC, da Total e dal fondo d'investimento Silk Road Fund. Le grandi manovre per trasformare in realtà il passaggio a Nord-Est sono già iniziate. A fine agosto una gasiera russa ha infatti attraversato per la prima volta le acque dell'Artico russo dall'Europa all'Asia senza l'aiuto di un rompighiaccio. La nave, la Christophe de Margerie, realizzata apposta per questo tipo di viaggi, ha percorso la rotta settentrionale carica di gas liquefatto e in tempi record: sei giorni e mezzo.
Si tratta della prima nave cisterna rompighiaccio al mondo e la Russia prevede di vararne altre 14 dello stesso tipo nei prossimi anni. In questo modo, secondo la società statale russa SovComFlot, proprietaria della nave, sarà possibile attraversare la rotta marittima settentrionale tutto l'anno, e non solo nei mesi più caldi. E per raggiungere l'Asia si risparmierà il 30% del tempo rispetto al tragitto tradizionale che prevede di passare dal Canale di Suez. La Christophe de Margerie - battezzata come l’ad di Total morto in un incidente aereo in Russia - è partita dalla Norvegia e ha impiegato 19 giorni per raggiungere la Corea del Sud. Ovvero l’ultimo grande ‘eldorado’ del metano in Asia.
Il (sesto?)senso di Mosca per la neve ha innescato un vero e proprio ritorno in grande stile a presidiare la frontiera più settentrionale del Paese, dopo la smobilitazione degli anni Novanta post-crollo. Il Cremlino ha infatti deciso di investire molto per la reconquista dell’Artico anche da un punto di vista militare - suscitando le preoccupazioni dei paesi limitrofi, della Nato e degli Usa. In aprile è stata inaugurata la nuovissima base di Trefoil, vicina all’arcipelago norvegese di Svalbard, nel mare di Barents. La base è progettata per ospitare 150 soldati per un massimo di 18 mesi e sarà inoltre dotata di una pista d’atterraggio per aerei d’attacco come il MiG-31 e il bombardiere Su-34.
“Non c'è dubbio che nell'Artico sia in pieno svolgimento un’avanzata russa”, ha scritto recentemente Stefan Hedlund, analista del Geopolitical Intelligence Services. “Il nuovo comando Artico creato nel dicembre 2014 ha un programma ambizioso, tra cui sei nuove basi, quattro nuove brigate, 14 aeroporti, 16 porti d’acque profonde e 50 rompighiaccio: gran parte di questa infrastruttura è stata risuscitata dai giorni della Guerra Fredda ma alcuni progetti, come Trefoil e la base navale di Shamrock sull'isola Kotelny nella Siberia Orientale, sono del tutto nuovi”. Se dunque, da un lato, si tratta di un ritorno al passato, dall’altro le ultime tecnologie rendono la presenza russa nella regione artica molto più insidiosa. Mosca ha piazzato “sistemi di difesa aerea a lungo raggio S-400” a Novaya Zemlya in Occidente e a Tiksi in Oriente, schermati da sistemi missilistici “Pantsir-SA a corto raggio”; le basi costiere sono inoltre protette da razzi supersonici anti-nave “P-800 Oniks” ed entro il 2025 l'Artico sarà pattugliato “da uno squadrone di bombardieri stealth PAK DA di nuova generazione”. Il perché di questo sforzo enorme ha due spiegazioni.
Il Polo Nord, stando allo U.S. Geological Survey, custodisce infatti il 13% delle riserve petrolifere ancora non scoperte del mondo e oltre il 30% di quelle di gas naturale: una cornucopia che fa gola a tutte le grandi compagnie energetiche, nonostante al momento il crollo dei prezzi di greggio e metano non rendano monetizzabili esplorazioni tanto costose. L’altro aspetto ghiotto è, appunto, la potenziale navigabilità del corridoio Nord-Est. “Rispetto al passaggio tradizionale attraverso il canale di Suez - spiega Hedlund - la rotta artica riduce la distanza da Rotterdam a Shanghai del 22% consentendo un notevole risparmio; ed è inoltre priva della pirateria che ha costretto le compagnie di navigazione a investire pesantemente nella sicurezza”. Sia che si tratta di riserve che di rotte a beneficiare maggiormente dello scioglimento dei ghiacci è “senz’altro la Russia, che possiede il 50% del territorio artico, ospite dell’80% delle probabili riserve energetiche”.
Hedlund, come altri esperti, tende a smorzare però l’impatto geopolitico della rotta nord, che al momento è più un esercizio di stile per gli addetti ai lavori. “Anche nel momento di maggior traffico - sottolinea - il numero di transiti annuali era inferiore a quelli giornalieri del canale di Suez. E due terzi di questi sono stati effettuati da navi russe”. Le gasiere-rompighiaccio potrebbero però cambiare il quadro. Trasformando la rotta artica nell’ennesimo fronte della guerra del gas.