“Essere nel mondo ma non del mondo”, in clausura, al servizio delle consorelle e dei pellegrini provenienti da tutto il mondo, in particolare attraverso il ministero della Consolazione. Questo il senso dell’essere monaca nel terzo millennio nel monastero agostiniano di Santa Rita da Cascia, che a oggi accoglie 23 religiose, "depositarie del carisma della Santa dell’ascolto e forza motrice, insieme ai padri, del Santuario". "Una santa che è tra le più venerate al mondo - spiegano dal tempio - amata per la sua normalità e per aver portato la sua croce con umiltà. La clausura è il mezzo, lo strumento che separa le monache dalla mondanità del mondo, per porle in intimità e in unità con Dio e tra loro, attraverso la preghiera, e a seguire per aprirle all’accoglienza delle persone che bussano alle porte del monastero o in mille altri modi, inviate dalla Provvidenza. Si diventa così “Chiesa in uscita verso le periferie esistenziali”, pur essendo le periferie a raggiungerle fisicamente e virtualmente, piuttosto che il contrario".
Perché, allora, scegliere la clausura e non l’impegno missionario tra la gente? “Nell’essere stesso della monaca – risponde Madre Natalina Todeschini, vicaria del monastero - è scritto l’anelito a voler raggiungere l’umanità intera, la passione per Dio e la passione per ogni uomo”, attraverso la preghiera, “che non ha muri che la sbarrano, confini che la delimitano. Non a caso la Chiesa, che è madre saggia, ha scelto come patrona delle missioni una contemplativa, Santa Teresa di Lisieux”. Le monache di Cascia si mettono così al servizio l’una delle altre, portando avanti le attività necessarie per il sostentamento del monastero, come le arnie, il pollaio e il giardinaggio "che mettono in luce il rapporto con la natura e in generale con il creato, nella logica dell’economia circolare, ma anche al servizio del mondo con il Ministero della Consolazione" nonché con la raccolta fondi - attraverso l’operato dell'omonima Fondazione - che a Natale andrà a favore del diritto allo studio dei bambini e delle bambine più povere sostenuti nelle missioni nelle Filippine (Bulacan e San Pedro) e in Kenya (Ishiara).
“Nel nome di Santa Rita, seguendo la sua scuola d’amore – sottolinea suor Giacomina Stuani, economa del monastero e direttrice editoriale della rivista “Dalle Api alle Rose”– ci facciamo ponte di carità verso chi è nel bisogno, portando un aiuto concreto. Grazie alla generosità dei devoti, gestiamole risorse come in un cerchio, che prende e produce carità. Così riusciamo, insieme, a fare del bene per molti”.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA