Gli investimenti diretti dell'Italia
verso gli Stati Uniti - spiega il Csc - ammontano a quasi 5
miliardi all'anno, il 27% del totale (media 2022-2023); 1,5
miliardi annui, invece, i flussi dagli Usa in Italia. Il
deflusso netto di capitali è un segnale di dinamicità delle
multinazionali italiane (anche grazie agli incentivi Usa), ma
anche di limitata attrattività del mercato italiano per i
capitali americani. Le multinazionali americane sul territorio
italiano, comunque, sono le prime per numero di occupati (più
di 350mila nel 2022), contribuendo per più di un quinto al
valore aggiunto nazionale e alla spesa in ricerca e sviluppo.
Il Csc sottolinea che "quasi tutti i settori manifatturieri
italiani godono di un surplus commerciale con gli Stati Uniti".
Macchinari e impianti sono il primo settore esportatore mentre
la farmaceutica è il primo settore importatore, nonostante un
surplus pari quasi al doppio del valore. Altri settori che hanno
un importante surplus sono gli autoveicoli e altri mezzi di
trasporto e gli alimentari.
"L'export italiano - si legge - è più esposto della media Ue
al mercato Usa: 22,2% delle vendite italiane extra-Ue, rispetto
al 19,7% di quelle Ue. Tra i settori maggiormente esposti
spiccano le bevande (39%), gli autoveicoli e gli altri mezzi di
trasporto (30,7% e 34,0%, rispettivamente) e la farmaceutica
(30,7%).
Viceversa, l'import italiano è meno dipendente della media Ue
dalle forniture Usa: 9,9% rispetto a 13,8% degli acquisti
extra-Ue. I comparti più dipendenti sono il farmaceutico (38,6%)
e le bevande (38,3%), che lo sono anche dal lato dell'export.
Ciò evidenzia "la profonda integrazione di queste filiere
produttive e il loro elevato rischio in caso di dazi e
ritorsioni".
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