Cancellate quasi centomila attività
commerciali nel giro degli ultimi otto anni. Segno tangibile del
progressivo e inarrestabile processo di desertificazione
commerciale che ora, con l'onda lunga delle restrizioni imposte
dalla pandemia, si va amplificando soprattutto per i
contraccolpi sui settori della ristorazione e alberghiero.
E' lo scenario tracciato nell'analisi dell'Ufficio Studi di
Confcommercio "Demografia d'impresa nelle città italiane" in cui
si calcola che tra il 2012 e il 2020 sono sparite dalle città
italiane oltre 77mila attività di commercio al dettaglio (-14%)
e quasi 14mila imprese ambulanti (-14,8%).
Ma il rapporto lancia un altro allarme: nel 2021, solo nei
centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città
di media ampiezza, oltre ad un calo ancora maggiore per il
commercio al dettaglio (-17,1%), si registrerà per la prima
volta da due decenni la perdita di un quarto delle imprese di
alloggio e ristorazione (-24,9%).
"Il rischio di non riavere i nostri centri storici come li
abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è molto concreto e
questo significa minore qualità della vita dei residenti e
minore appeal turistico", avverte l'associazione evidenziando
come tra il 2012 e il 2020 si sia verificato un cambiamento del
tessuto commerciale all'interno dei centri storici che la
pandemia tenderà ad enfatizzare.
Per il commercio in sede fissa, tengono in qualche modo i negozi
di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che svolgono nuove
funzioni come le tabaccherie (-2,3%), mentre è rilevante
l'impatto del cambiamento dei consumi che coinvolge in primis
tecnologia e comunicazioni (+18,9%). Il resto dei settori
merceologici è invece in rapida discesa: i negozi dei beni
tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque,
fuori dai centri storici registrano riduzioni che vanno dal 17%
per l'abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1%
per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina.
La pandemia acuisce questi trend e lo fa con una precisione
chirurgica: i settori che hanno tenuto o che stavano crescendo
cresceranno ancora, quelli in declino rischiano di scomparire
dai centri storici. Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti,
alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di
razionalizzazione dei primi (-19,5%), per alberghi e pubblici
esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e
+10%, "il futuro è molto incerto". Per fermare la
desertificazione commerciale delle città Confcommercio individua
tre direttrici, come spiega il presidente Carlo Sangalli:
"sostenere le imprese più colpite dai lockdown, introdurre una
giusta web tax che risponda al principio 'stesso mercato, stesse
regole', piano di rigenerazione urbana per favorire la
digitalizzazione delle imprese".
Ma nell'immediato, bar e ristoranti avanzano le proprie
richieste per cercare di sopravvivere ai vari regimi di zone
gialle e arancioni. In prima battuta, viene chiesta la
riapertura serale, almeno nelle zone gialle, dei pubblici
esercizi in grado di garantire il servizio al tavolo. Un'opzione
"non più rinviabile" avverte Fipe-Confcommercio che propone di
poter riaprire anche alla sera, fino alle 22, in zona gialla e
fino alle 18 in zona arancione. "Ci auguriamo che il primo Dpcm
del nuovo governo segni un cambio di passo" rimarca la
Federazione dei Pubblici esercizi decisa a tutelare oltre un
milione di lavoratori nelle "centinaia di migliaia di imprese
che non possono essere aperte o chiuse con un'ordinanza
pubblicata nella notte e valida dalla mattina successiva".
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