La "svendita delle partecipate" per far cassa è "una idea malsana" avverte la Cgil che boccia il metodo delle privatizzazioni dopo aver messo sotto esame le esperienze del passato e le possibili prossime mosse del Governo, ipotesi per ipotesi. Il documento, dell'Area della contrattazione, politiche industriali e politiche del lavoro del sindacato, si chiude con "una forte critica alla gestione delle privatizzazioni da parte del Governo Meloni, paragonandola a quella dei governi precedenti".
Dopo le cessioni di quote di Mps e Eni "mancano circa 18 miliardi per raggiungere gli obiettivi del Governo": operazioni - commenta il segretario confederale Cgil Pino Gesmundo, illustrando il documento - "che colpiranno direttamente i cittadini e la salvaguardia della nostra economia e che denunciamo come ingiustificate e inaccettabili. La svendita delle partecipate compromette un progetto di sviluppo industriale del Paese". La Cgil chiede che "il Governo apra un confronto serio e approfondito".
E' degli ultimi giorni l'accelerazione, in vista della manovra, anche su "beni pubblici strategici come ferrovie e porti, oltre a quanto già annunciato su Eni, Poste e Mps": i porti "devono restare pubblici, al servizio della collettività e della crescita economica"; cedere quote di Fs "sarebbe una scelta sbagliata e potenzialmente dannosa" avverte Gesmundo, che in Cgil ha la delega su politiche industriali e energetiche, infrastrutture e trasporti, aree di crisi.
Serve un confronto - chiede al Governo - "che consideri le ripercussioni economiche e sociali" perchè "la privatizzazione di asset strategici non solo metterebbe a rischio la strategia di crescita del nostro Paese ma minerebbe la capacità di gestire le epocali transizioni che ci troviamo di fronte e di affrontare sfide future come la sostenibilità ambientale e la giustizia sociale. È giunto il momento di mettere al primo posto l'interesse pubblico e il benessere collettivo, non gli interessi privati o le logiche del profitto a breve termine".
Nell'analisi della Cgil "l’intenzione del governo di non perdere il controllo delle imprese dove ha la maggioranza limita fortemente il numero e l’entità delle operazioni possibili. Si può ottenere una cifra che difficilmente arriva a 10 miliardi". E sarebbe comunque "non conveniente finanziariamente perché in parte farebbe perdere allo Stato la possibilità di partecipare ai profitti di queste imprese": è un rischio che il documento della Cgil analizza conti alla mano, per aziende come Eni e Poste, calcolando quanto lo Stato potrebbe incassare nell'immediato cedendo quote ma anche quanto di conseguenza perderebbe anno per anno in mancati dividendi.
C'è il tema di mantenere saldo il controllo su aziende strategiche per il Paese (su Poste, per esempio, vanno tutelati "occupazione, rete degli uffici postali e qualità dei servizi ai cittadini, raccolta del risparmio per Cdp) ma è lo stesso strumento delle privatizzazioni a non convincere: "Aziende che erano state privatizzate sono ora in fase di ripubblicizzazione o soggette a forte intervento pubblico, come Alitalia, Autostrade e Ilva, per non parlare dei ritardi e dei costi per la catastrofe della privatizzazione di Telecom": è "un circolo vizioso", bisogna "evitare di ripetere gli errori del passato".
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