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Cina teme recessione e svaluta, rischio guerra valute

Dilemma fra export e fuga capitali; giù Borse Europa, cala lo Zew

 L'economia cinese frena, i flussi di capitali se ne vanno e Pechino, pur rischiando l'avvio di una nuova guerra delle valute, cerca di correre ai ripari svalutando la moneta e allentandone l'aggancio con il dollaro in ascesa. Anche in Europa, nonostante l'accordo sulla Grecia, restano le incertezze misurate dall'andamento in calo a sorpresa dell'indice tedesco Zew. Un risultato deludente questo che ha mandato in rosso i mercati azionari, Francoforte in primis, dove anche i titoli dei gruppi automobilistici che hanno puntato molto sulla Cina hanno accusato forti perdite assieme a quelli delle materie prime o del lusso. 

Piazza Affari è stata messa sotto scacco, insieme alle consorelle europee, dalla decisione di Pechino. Ha accusato il colpo l'indice Ftse Mib (-1,12% a 23.698 punti), tra scambi in ripresa per 2,4 miliardi di euro di controvalore. Un calo generato dal tonfo di tutti i principali titoli del lusso, da Ferragano (-5,50%) a Moncler (-3,2%), Tod's (-3,18%), Luxottica (-2,74%) e Yoox (-2,47%). 

Dopo la debacle sui mercati azionari cinesi di luglio, fermata a stento e alla prese con una massiccia fuga di capitali, la banca centrale ha quindi sorpreso il mercato nella notte decidendo la maggiore svalutazione degli ultimi vent'anni seppure contenuta in termini assoluti (-1,9% a 6,2298) e dopo aver nei giorni scorsi consumato parte delle riserve per tenerne fermo il livello. Pechino ha infatti due obiettivi per il cambio a volte confliggenti: favorire le esportazioni ma frenare anche il deflusso di capitali. Non a caso la mossa è stata subito definita 'una tantum' ma la stessa Banca ha detto che da ora in avanti il cambio (fissato con rigidità ancorandolo al dollaro con solo un'oscillazione del 2%) terrà più conto dei meccanismi di mercato aprendo quindi la strada a un ulteriore deprezzamento.

Una mossa chiesta più volte dagli Stati Uniti ma che ora pone la politica americana di fronte a un dilemma: se negli scorsi anni tenere il cambio in maniera dirigista favoriva l'export di Pechino, ora permetterne una maggiore fluttuazione spezzando il legame con il dollaro in ascesa punta proprio a cercare di favorire le esportazioni. Il paese asiatico infatti sta decisamente rallentando.

La mossa rischia di far scattare una 'guerra di valute' fino a ora limitata a una guerriglia che ha visto scendere anche le monete di Australia, Sud Corea e Singapore. Se la Cina piange comunque l'Europa non ride. L'indice Zew sceso a sorpresa è una spia allarmante di una fiducia che stenta a farsi strada proprio per le condizioni dell'economia globale anche se il Pil della Germania, secondo le stime, dovrebbe essere salito dello 0,5% nel secondo trimestre.

Yuan affossa lusso in Borsa, male Prada e Lvmh - Se la moneta cinese vale meno, possono frenare anche ricavi e utili dei grandi gruppi della moda e del lusso, che a quel mercato guardano con forza. Da tutti i grandi nomi del settore la scelta di Pechino è stata accolta poco positivamente, ancor meno dagli operatori di Borsa, che con il mercato sottile di agosto ci hanno messo molto poco a penalizzare i titoli del comparto. Questo il bilancio finale della giornata: Prada per fuso orario ha aperto le danze con un calo finale alla Borsa di Hong Kong del 4,2% a 36,1 dollari locali. Ferragamo (-5,50% a 28,53 euro) è il marchio più esposto in Asia e Pacifico, area che nel primo trimestre dell'anno ha contribuito per oltre il 36% ai ricavi del gruppo. Seguono Moncler (-3,20% a 17,52 euro) con il 35% nel semestre e soprattutto Tod's (-3,18% a 91,20 euro), che nella sola area 'Great China' - che quindi dovrebbe comprendere anche Hong Kong e Macao - registra quasi il 23% dei ricavi. In realtà si tratta di dati da leggere sempre nel dettaglio (quasi mai reso pubblico dalle società): Luxottica (-2,74% a 65,6 euro) per esempio nell'area Asia Pacifico ha la maggiore esposizione in termini assoluti (623 milioni di euro nei primi sei mesi dell'anno, pari al 31% del totale), ma in Cina è ancora poco presente, per vendite che supererebbero di poco il 2% del dato mondiale

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