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"IL SEQUESTRO MATARAZZI.NELL'INFERNO DELL'ANONIMA", A CURA DI PIETRO MELIA (EDIZIONI CITTA' DEL SOLE, PP 101, euro 12) Da una parte un allora giovane cronista in forza al "Giornale di Calabria", Pietro Melia, e, dall'altra, Tobia Matarazzi, figlio di imprenditori e destinato ad un futuro nell'azienda di famiglia, protagonista, suo malgrado, non solo di uno dei primi sequestri di persona avvenuti nella Locride ma anche vittima e testimone involontario di una sorta di mutazione, che si potrebbe definire quasi genetica, della mafia in Calabria.
E' l'epilogo di una metamorfosi quello che fa da sfondo al racconto a due voci che propone il libro- intervista "Il sequestro Matarazzi, nell'inferno dell'Anonima Spa", scritto da Pietro Melia, edito da Città del Sole e che si avvale del contributo del giornalista Aristide Bava e la postfazione del magistrato Ezio Arcadi, già sostituto procuratore a Locri.
Un''evoluzione', dalla vecchia alla nuova mafia, innescata dall'omicidio del boss dei boss Antonio Macrì, custode delle regole dell'onorata società, ucciso perché contrario al business della droga e dei rapimenti.
In cento pagine Melia racconta anche dei suoi inizi nel mondo del giornalismo sviluppando il racconto di un sequestro-lampo, eseguito nel giugno del 1975 e risoltosi poco meno di un mese dopo con la liberazione dell'ostaggio da parte dei carabinieri.
Il sequestro si verificò pochi mesi dopo l'omicidio di Macrì, che inaugurò la "stagione" forse più drammatica e carica di conseguenze nefaste a più livelli per la Locride. Alla liberazione dell'ostaggio fecero seguito l'arresto dei suoi carcerieri e un processo di cui si dà conto in coda al libro.
Pensato e realizzato, come racconta lo stesso Melia, che ha lavorato alla Rai, oltre che per vari quotidiani, ed è stato tra i cronisti di punta della sua generazione, da un incontro casuale con Tobia Matarazzi, oggi 75enne, a Roma, a distanza di decenni da quei fatti e dal contesto in cui la vicenda raccontata è maturata, il libro, a distanza di mezzo secolo, rende il clima dell'epoca in cui, in un certo senso, si consolidarono le fondamenta di una delle più potenti, se non la più potente, organizzazione criminale al mondo. Un dialogo che consente di rileggere un episodio o, secondo l'autore, 'l'episodio' che ha fatto da spartiacque nell'evoluzione criminale delle cosche, dando anche la possibilità di conoscere dalla viva voce della vittima del sequestro l'entità del dramma umano suo e della sua famiglia. Il giovane Matarazzi era all'epoca tra gli eredi di una benestante famiglia di commercianti che si era insediata nella locride dagli albori del Novecento. A loro il boss Macrì aveva garantito protezione e tranquillità. Una situazione che, evidentemente, stava stretta ai giovani leoni della criminalità locale, ansiosi di imporsi sulla piazza.
Con il rapimento di Matarazzi il sequestro di persona a scopo di estorsione divenne parte importante del "core business" della criminalità organizzata e, come mette in evidenza Ezio Arcadi nella sua postfazione, fece terra bruciata attorno alle prospettive economiche e di sviluppo della Locride e, di riflesso, dell'intera Calabria.
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