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L'illusione gialla di Gilda Policastro

La Nave di Teseo

L'illusione gialla di Gilda Policastro

La parte di Malvasia, slittamenti senso e fascino scrittura

ROMA, 08 agosto 2021, 10:55

di Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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ROMA, 08 AGO - GILDA POLICASTRO, ''LA PARTE DI MALVASIA'' (LA NAVE DI TESEO, pp. 204 - 17,00 euro)

''Un'altra sfumatura del nero, per una scrittura affilata e acuta come un coltello nel cuore'', firmato Maurizio de Giovanni. Comincia da qui, da quanto scritto sulla fascetta e poi nel risvolto di copertina del libro, il gioco di slittamenti che ha preparato con sapienza costruttiva e di scrittura Gilda Policastro, proponendo all'apparenza un romanzo giallo, un noir di quelli che vanno oggi per la maggiore, oggi nella terna dei finalisti del Premio Viareggio.

Si comincia con tanto di morta ammazzata il 16 maggio 2013, la Malvasia del titolo, donna cordiale, comparsa da poco, senza che si capisca da dove venisse, al quarto piano di una palazzina di un'anonima cittadina in cui è come straniera, senza parenti né conoscenti. E poi l'inizio delle indagini sul delitto, con il commissario Arena e il giovane Gippo, esperto di informatica del commissariato, con la povera Celeste Anastasia, sospettata e subito fermata, e gli interrogatori, le deposizioni di vari personaggi legati alla vittima, spesso indicati solo con una inziale maiuscola, più l'ambigua moglie che ''parla per ellissi'', insofferente e acquiescente, di quello che si scoprirà essere l'amante sposato di Malvasia. A questo punto però il lettore pian piano si trova coinvolto in una serie di ricordi, deposizioni, commenti che paiono più voci che personaggi, un insieme di notazioni e pensieri come tasselli di un'indagine che non è necessariamente quella della polizia, ma una, come dire, parallela, dell'autrice, che non si sottrae alla normale confusione del mondo e delle identità. Non sono depistaggi, ma un accumulo che, annebbiando l'oggettiva impossibile linearità degli eventi e narrativa, dà la sua nota esistenziale al libro, una storia, se così la possiamo chiamare, che si monta e si smonta di continuo in un gioco straniante di rimandi e impossibili rispecchiamenti tra una vittima sempre più fantasmatica man mano che se ne ricostruiscono momenti del passato, indagini che non approdano a chiarimenti reali, personaggi che si misurano con le proprie frustrazioni.

Questo non spaventi, che il piacere della lettura riserva anche colpi di scena e richiede certo un qualche impegno come vuole ogni buon libro, ma ci offre spunti e collegamenti, allusioni che spingono a andare avanti, perché la scrittura concreta, sapientemente costruita, spigolosa e colta della Policastro offre continui appigli e suggestioni (con echi, come è facile capire, di Gadda, Sciascia e altri pseudo mistificatori di generi, oltre al maestro Sanguineti) ed è, alla fine, il vero corpo del libro con la sua sostanza di poesia, col suo procedere per associazioni e intuizioni, coi suoi momenti intellettuali, alcuni forse anche troppo ricercati e voluti.

''La sperimentazione è un'illusione e il risultato un feticcio'' si legge a un certo punto, in cui si spiega che ''le cose si danno direttamente entro un limite: non puoi andare oltre quello che sai già fare'', e la Policastro è anche poeta e docente di poesia (e si vedano le sue puntualissime notazioni per la settimanale 'Bottega della poesia' pubblicata su La Repubblica). Insomma un romanzo, se questa definizione continua a reggere anche quando si slitta fuori di ogni binario, un romanzo poetico, non come generalmente si intende questa notazione, ma per metodo e risultato, come dimostra la sua capacità di comunicare col lettore, se questi si è liberato di preconcetti e attese e si lascia andare al flusso di coscienza, al manifestarsi della mente delle persone, alle espressioni della psiche più che alla realtà del mondo esteriore, quindi all'affascinante caos dell'essere a contraltare del grigiore dell'apparire.

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