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Valadiano, Andreina e la zia Camilla

Guanda

Valadiano, Andreina e la zia Camilla

Alla fine, persa ogni memoria, resta solo quella degli affetti

ROMA, 20 maggio 2021, 09:37

Paolo Petroni

ANSACheck

Adesso che sei qui - RIPRODUZIONE RISERVATA

Adesso che sei qui - RIPRODUZIONE RISERVATA
Adesso che sei qui - RIPRODUZIONE RISERVATA

 MARIAPIA VALADIANO, ''ADESSO CHE SEI QUI'' (GUANDA, pp. 268 - 18,00 euro).
    I due mondi di Andreina, quelli che l'hanno cresciuta come donna sentimentalmente, sono la casa della zia Camilla e la scuola, gli alunni cui insegna, e l'uno diverrà per lei complementare all'altro, anche quando il rapporto con la zia si farà centrale, richiedendo tutta la sua attenzione e impegno e costringendola a fare anche i conti con se stessa e la propria sofferta storia famigliare. E il libro, di bella finezza e limpida scrittura, col percorso, il periodo che l'aspetta, non è solo il racconto del procedere di un alzheimer, ma una scoperta continua sulla profondità degli affetti, gli unici di cui resta la memoria mentre tutto si perde. Un interrogarsi sulla fragilità e delicatezza delle persone, sulla necessità di rapporti di comprensione e attenzione per l'altro. E questo porterà a uno scontro con i parenti che avranno l'arroganza che nasce dalla paura di affrontarlo e capirlo, spingendo per un ricovero i una casa di riposo. La storia comincia quando in un giorno caldissimo di agosto la zia viene vista vagare per la piazza deserta di Stramiglio, davanti alla chiesa barocca di San Michele, con un cappello nero, i guanti, il cappotto di velluto e una gran sciarpa di lana rossa, con calze e scarpe décolleté. Andreina viene avvisata con una telefonata e quando arriva la trova vicino alla fontana con due o tre persone che cercano di liberarla del soprabito e di rinfrescarla e quando la chiama gira lo sguardo intorno senza fermarsi su di lei con l'aria spersa: ''Forse non sapeva chi avesse parlato e non rispondeva. Per non sbagliare, come i ragazzi a scuola, ho pensato''. Pare si chiami ''l'esordio'' che è il momento in cui il mondo si accorge che qualcosa non va, prende coscienza del mostrarsi delle malattia, i cui piccoli segnali erano stati distrattamente sottovalutati, con lei che impara a non rivelare ciò che perde o le manca e noi a ''non vedere la sua e la nostra paura''.
    A prendersi cura di lei, a trasferirsi a casa sua per assisterla è appunto la nipote, che a lei è legata come una madre, perché l'ha cresciuta col marito zio Guidangelo quando la vera mamma non ci è più riuscita, malata ''non era più lei''.
    Per questo Andreina sapeva già che ''la malattia è debolezza se viene esibita, e quando è mentale è anche colpa e vergogna''.
    Nella sua casa di Camilla, donna da sempre ordinatissima, si scopre che tutto è in disordine, il frigo, i pensili della cucina e gli armadi sono strapieni di roba di ogni genere affastellata e nascosta. E col passare del tempo le capita di mettere cose fuori posto, rispondendo a chi le chiedeva dove fosse questo o quello ''Chissà dov'è'', risposta che diventa una sorta di codice per chi cerca qualcosa: ''E' un chissadovè di zia Camilla'', e si ride, perché le cose sono sempre affrontate positivamente anche se con sofferenza.
    Con quel cattivo del ''dottore tedesco Alzheimer'' ci si misura e si cerca di capire, per esempio che aiutare troppo la zia, invece di stimolarla, finisce per impigrirla e farla regredire. Così non bisogna levarla dal suo ambiente, la sua casa nota, perché ogni novità mina il loro precario equilibrio particolarissimo. ''E' una diversa normalità, normalità perché comunque c'è una vita possibile per chi è malato, bella e piena, anche se diversa''. La scoperta è che le persone restano sempre le stesse, percepiscono con il cuore i modi d'essere, le disposizioni d'animo, più dei fatti e le parole, e reagiscono.
    Il libro procede conducendo Camilla e, in un gioco empatico, il lettore sino alla fine, scoprendo la partecipazione affettuosa di badanti pazienti e straniere, e che invece ''un disadattamento affettivo attraversava la mia famiglia. Nessuno sapeva riconoscere io sentimenti e tutti vivevano di reazioni e compensazioni'', con la sorella della zia, e madre di Andreina, che pensa ''oramai è andata'' o il fratello che crede di saper lui come strapazzarla per farla reagire. Meno male che Andreina ha un marito, Teo, che le è vicino e la sostiene positivamente.
    E così, nonostante tutto, alla fine ecco una pagina con una sola notazione tra quelle in corsivo, voci e commenti, che inframmezzano il racconto: ''Zia Camilla ci ha permesso di diventare tutti migliori''. Una storia, una predisposizione buonista, se si vuole, ma perché non ci sono alternative se si vuole uscire dal disastro delle relazioni famigliari cui non si sa come porre rimedio e si finisce per diventare aggressivi, ''meglio la rabbia del dolore''. E la malattia diventa una scuola di vita, ogni mattina è come una novità, un doversi reincontrare, ma alla fine ''erano giorni felici, questo è tutto. Fatti di tempo presente, che nessuno ha più. tempo che non corre avanti strizzato da quel che ci sarà da fare. Pieno di senso perché allegro. Di libertà. Senza programmi''.
   

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

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