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Liliana Picciotto, gli ebrei che si salvarono

Autrice di 'Memoria' racconta la storia di chi sfuggì alla Shoah

 (ANSA) - ROMA, 15 OTT - LILIANA PICCIOTTO: "SALVARSI. GLI EBREI D'ITALIA SFUGGITI ALLA SHOAH 1943-1945" (EINAUDI; PP.570; 38 EURO). L'autrice - storica e direttrice delle ricerche del Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) di Milano - ha pubblicato un altro libro da cui sarà difficile prescindere per ogni ricercatore futuro. Se con il primo, 'Il Libro della Memoria' (Mursia, 1991), ha ricostruito, nome per nome, la Shoah in Italia nei due anni dal '43 al '45, con il secondo - 9 anni di lavoro sostenuti dalla 'Viterbi Family Foundation' - ha scandagliato la storia (o le storie) di chi è riuscito a salvarsi e di come lo ha fatto. Il risultato complessivo sono due testi fondamentali nella lotta - sempre più attuale oggi e per vari motivi - contro ogni tentativo di revisionismo e di negazionismo di un periodo nefasto per la coscienza nazionale.
    Seguire attraverso questi due libri l'abolizione, prima, dei diritti civili dei cittadini ebrei e, subito dopo, la loro persecuzione omicida, significa entrare nei meccanismi politici, culturali e ideologici che portarono alle Leggi Razziali del novembre del 1938 (80 anni nel 2018). Un quadro d'assieme che permette anche di smontare due miti pervicaci che servono a deresponsabilizzare la storia nazionale. Il primo riguarda la pretesa importazione nel paese delle teorie razziste tedesche in Italia e non la loro autonoma elaborazione autoctona; il secondo, l'eterno mito degli 'italiani brava gente'. La capillare documentazione che Picciotto ha messo a disposizione dei lettori e degli storici nel primo e nel secondo libro offrono un quadro completamente diverso. La salvezza tra il 1943 e il 1945, a fronte di una persecuzione capillare nazi fascista, fu il risultato di varie cause che non prescindono sicuramente dai tanti "giusti" scesi in campo in aiuto agli ebrei (e le testimonianze fornite dall'autrice lo sostanziano) ma che certo non le esauriscono. Come è giusto che sia in società complesse come quella italiana di quegli anni. Nella disperata ricerca di salvezza (per l'81% degli ebrei, italiani e stranieri presenti allora nella Penisola, andò a buon fine) influirono positivamente alcuni fattori: ad esempio, la buona integrazione degli ebrei nella società, le infinite modalità messe in atto e la preveggenza di molti di loro. Tutto ciò ha avuto un grande peso insieme a determinate "circostanze obiettive esterne": il periodo temporale in cui si fu esposti, la geografia del luogo dove ci si trovava (in città o in campagna), il poter contare su una cerchia di amici fidati o di lavoro o su contatti con le gerarchie ecclesiastiche, l'avere denari e infine il puro e semplice caso. Un insieme di contingenze che sono presenti in tutte le testimonianze orali raccolte da Picciotto nell'ultima parte del volume e che riportano uno scenario vario di aiuti, di intraprendenza e di casualità senza cui sarebbe stato assai difficile "salvarsi". Senza mai dimenticare l'altra faccia della storia: secondo i numeri del Cdec furono complessivamente 7.172 (tutti identificati) gli ebrei italiani e stranieri, presenti in Italia dal 1943 al 1945, arrestati o deportati. Di questi - sempre secondo gli stessi dati - ne sopravvisse circa il 10%.
    (ANSA)

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