(di Francesco Gallo)
'I figli del Fiume Giallo' di Jia
Zhang-Ke - dopo il Torino Film Festival in sala dal 9 maggio con
Cinema di Valerio De Paolis - ci porta nella Cina del 2001
dentro la cultura jianghu (quella criminale della triade
cinese). Qui la giovane ex ballerina Quiao (Zhao Tao) si
innamora di un boss della mafia locale, Bin (Liao Fan) ed è
disposta a fare tutto per lui.
Così, quando Bin si trova in un conflitto a fuoco, non manca
di mettersi a sparare per salvarlo, tanto da venire imprigionata
per cinque lunghi anni. Non solo. Quando esce lo va a cercare,
ma lui si è ritirato, fa un'altra vita e ha un'altra donna.
Fin qui tutto bene, ma la storia d'amore tra in due in realtà
non finisce. Continua anche se con modalità diverse e con il
chiaro intento di mostrare che la modernizzazione della Cina è
andata a toccare anche quella cultura popolare e radicata della
delinquenza 'sporcandola' di cellulari e compromessi. Quasi una
missione, quella del regista, di monitorare il cambiamento, con
ironia e forse anche con un po' di dolore.
"Ho lavorato a questo film per tre anni - ha detto il
regista, già Leone d'oro a Venezia con 'Still Life' - e quello
che racconto è una parte importante di quella cultura cinese
jianghu (triade, mafia) che ha un doppio significato, quello che
la lega sia a una vita drammatica, che a una vita pericolosa".
"Nei Figli del fiume Giallo parlo di una storia - continua
Zhang-Ke - che va dal 2001 al 2008, quando la Cina viveva
drastici cambiamenti e tutti i valori tradizionali erano
cambiati poco a poco. Una cosa che ha riguardato anche il
jianghu che si è trovato costretto a cambiare le sue regole, e a
volte perdendo parte del suo fascino".
Nel film, ad alto budget, importante "e comunque centrale è
la coppia protagonista che attraversa amore, tradimenti,
separazioni, rappacificazioni e ancora separazioni, ma non
arriva mai ad un legame fisso. Entrambi mantengono la loro
personale libertà perché credo che in loro ci sia, sopra ogni
altra cosa, una natura ribelle".
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