Un gioco sottile, che per comunicare
punta sulla poesia e magari il nonsense, partendo da suggestioni
della Tempesta di Shakespeare per arrivare a denunciare un mondo
in cui si collezionano munizioni e si fa la guerra, un mondo
desolato che per sopravvivere ha bisogno di poeti e di parole,
di comunicare e scoprire il senso delle cose. In questo 'Si
illumina la notte', prodotto e proposto al Teatro Metastasio di
Prato, collage di testi di Franco Scaldati rimontati, per i
dieci anni dalla sua morte, con altri echi che Livia Gionfrida
propone come testimonianza di una realtà apocalittica e
apparentemente senza speranza, "si contano i giorni sino a che
non ce ne sono più", tra campane che suonano a stormo e una
pioggia di stivali, come resti di un'umanità sparita, si anela
un'armonia e si aspetta il chicchirichì che potrebbe annunciare
un nuovo giorno e, nel finale, si apre uno spiraglio di luce,
sapendo che la natura indifferente farà continuare a sbocciare i
fiori sulla terra.
Gionfrida lavora da tempo su Franco Scaldati (1943-2013),
drammaturgo singolarissimo che esprime un suo personale universo
senza tempo con una scrittura intensa e che usa un siciliano
stretto e difficilmente comprensibile, quasi un cantilena araba,
dalla potenza poetica e un procedere ora concreto e tragico ora
nonsense al limite della provocazione e senza una necessaria
consequenzialità, proponendo quadri che funzionano per accumulo,
visioni, lampeggiamenti.
Il palcoscenico, per questo teatro "arcaico", come lo
definisce Valentina Valentini, curatrice per Marsilio con
Viviana Raciti di tutta l'opera di Scaldati, è vuoto e nero in
una sorta di notte senza fine in cui tutti "sdrubbano" tutto e
contro cui lottano Ariel, con ricordi di Pulcinella, e il Poeta,
che è un po' il mago Prospero, si agita una sorta di Calibano,
Miranda vorrebbe far chiarezza in se stessa e la Luna prova a
illuminare qualcosa, mentre cadono le stelle.
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