In superficie si rafforza il
coraggio, nei sotterranei avviene la liberazione che restituisce
la speranza alle vittime dell'ingiustizia. È un cammino verso la
luce quello che Ludwig van Beethoven fa compiere ai protagonisti
di Fidelio, l'unica opera da lui realizzata, per la prima volta
nel 1806, e che ieri ha aperto la nuova stagione del Teatro
Petruzzelli di Bari.
In due atti, con la regia di Joan Anton Rechi ripresa da Gadi
Schechter, l'opera ha al centro una storia d'amore che si
intreccia all'intrigo politico. Parla della virtù di saper fare
la cosa giusta pur sapendo che si pagheranno le conseguenze, e
del coraggio di lottare contro le ingiustizie anche a costo
della propria vita. Ma soprattutto della forza di una donna,
Leonore (Helena Juntunen), che si finge uomo, Fidelio, pur di
liberare il suo amato Florestan (Ric Furman), imprigionato dal
governatore don Pizarro (Vito Priante) di cui ha denunciato le
malefatte.
Dopo l'overture si apre il sipario e sul palco compare una
grande testa di pietra, elemento scenico che il regista usa per
richiamare l'idea del sovrano e che dà una caratterizzazione
mitologica: come Orfeo finisce agli inferi per riscattare
Euridice, anche Leonore scende all'inferno, nei sotterranei
della prigione, per trarre in salvo il proprio amato.
Dopo essersi finta un uomo, aver conquistato la fiducia del
carceriere Rocco (Tilman Rönnebeck) al punto che questi vuole
che sposi sua figlia Marzelline (Francesca Benitez) innamorata
di Fidelio, Leonore scopre i progetti di don Pizarro: uccidere
il suo acerrimo nemico Florestan prima che il ministro don
Fernando (Modestas Sedlevičius), che crede Florestan morto da
tempo, arrivi per una ispezione nella prigione. Per questo don
Pizarro ordina a Rocco e a Fidelio di scavare una fossa in cui
seppellire Florestan, ormai moribondo: sarà lui stesso a
tagliargli la gola.
Giunti nei sotterranei, mentre don Pizarro sta per compiere
il suo piano, Leonore, impugnando una pistola, si rivela e dice:
"Uccidi prima sua moglie". A quel punto si ode uno squillo di
tromba che annuncia l'arrivo di don Fernando, giunto con il suo
seguito, per far regnare la giustizia. Il coro dei "prigionieri
politici", ora liberati, celebra il "coraggio della sposa" e
restituisce nel finale la voce agli ultimi, alle vittime, e ai
loro sentimenti, veri protagonisti di tutta l'opera.
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