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Wilson, Jungle Book a teatro, il mio viaggio nel mondo animale

Wilson, Jungle Book a teatro, il mio viaggio nel mondo animale

Nuovo spettacolo da Kipling con CocoRosie. "Al lavoro su Dante"

ROMA, 29 gennaio 2022, 19:07

(Di Daniela Giammusso)

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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"Sono stato in Amazzonia, nel Borneo, ho visto la distruzione della foresta, della natura e la grande minaccia per gli animali. Sicuramente avevo tutto in mente mentre lavoravo a questo spettacolo. Ma non penso che il teatro debba dare lezioni. Io non cerco di cambiare il mondo. Cerco di far riflettere e pensare". E' così che Robert Wilson, il Maestro "visionario" del teatro, si è tuffato nell'universo del "Jungle Book" di Rudyard Kipling e insieme al duo folk CocoRosie (alla loro quarta collaborazione sul palcoscenico) lo ha trasformato nel "suo" mondo: una girandola di linguaggi musicali e colori dove a far da narratore è un elefante dalla pelle nera e le grandi orecchie blu disegnate, la pantera indossa una sgargiante camicia arancione o l'erba cresce a grandi triangoli verdi.
"Sognavo uno spettacolo che tutta la famiglia potesse guardare insieme e sognavo di lavorare con giovani di Paesi, provenienze etniche e background diversi", racconta lui, che in passato si è già tuffato nel mondo di Alice nel paese delle meraviglie, Peter Pan o le favole di La Fontaine. Il progetto, avviato dal Théâtre de la Ville di Parigi, coprodotto dal Teatro della Pergola di Firenze e presentato in anteprima mondiale al Grand Théâtre du Luxembourg nel 2019, arriva ora con un cast di 40 interpreti in esclusiva italiana alla Pergola, dal 3 al 6 febbraio, a due anni dal "Mary said what she said" con Isabelle Huppert e dopo i lunghi stop per la pandemia. Ed è solo la prima di una serie di coproduzioni internazionali, che, racconta il responabile della parte internazionale della Fondazione Teatro della Toscana, Riccardo Ventrella, nei prossimi mesi porteranno titoli come Exils Interiéurs di Amos Gitai, sempre con il tetaro parigino, o l'Ellenit con l'Onassis Stegi di Atene. Aspettando l'Inferno cui lo stesso Wilson sta lavorando da Dante.
"E' stata mia zia a leggermi Il libro della jungla, quando ero bambino in Texas e poi Pierre Bergé (il compagno di Yves Saint Laurent ndr) a Parigi a suggerirmi di trarne uno spettacolo - racconta il regista - Mi sembrava che ora fosse il momento adatto, perché abbiamo molti motivi di preoccupazione per l'ambiente, per la sorte degli animali e perché è importante, oggi, capire quanto conta la famiglia".
In tre atti, il suo adattamento segue le prove del cucciolo d'uomo Mowgli dall'arrivo nella giungla, dove è adottato dai lupi, alle speranze di trovare una vera famiglia. In questo periodo, uccide la sua nemesi, la tigre Shere Khan, ma si ritrova anche abbandonato da vecchi amici come Baloo l'orso a Bagheera la pantera. All'inizio, il loro affetto vince la spietata brutalità conosciuta come la "legge della giungla", ma questa si dimostrerà altrettanto forte nel mondo umano.
"Baudelaire diceva che il genio non è altro che l'infanzia ritrovata a piacimento - prosegue Wilson - In tutte le opere importanti ci deve essere un bambino. Medea, ad esempio, l'unico modo per umanizzarla è vedere la bambina che è stata. Lo stesso vale per Salomé o Re Lear. Ma per me è importante pensare non solo al bambino tra i protagonisti, ma anche a quello che è seduto in platea negli adulti del pubblico". Gli animali? "Sono in tutti i miei lavori. C'erano persino nel '67-'68 in uno spettacolo intitolato a Sigmund Freud. Sono cresciuto con gli animali e ho imparato molto osservandoli", prosegue raccontando l'"ascolto con gli occhi della pantera" o le battute di caccia dove lo trascinava il padre e in cui, dice, "io mi identificavo sempre con il cervo". Quanto alle ispirazioni, "Walt Disney è uno dei più grandi artisti che siano esistiti. Una sera me lo disse anche Andy Warhol - racconta - Ma il mio lavoro è molto diverso". Prende più "da Matisse che scoprii da bambino" o "dai tanti Paesi dove ho lavorato, dall'America Latina al Medioriente" passando per le "danze balinesi e il teatro No giapponese". Quanto all'atteggiamento colonialista che alcuni criticano a Kipling, ribatte: "era un essere umano, con le sue contraddizioni, come tutti. Come artista - aggiunge - credo che la cosa più importante sia porsi delle domande. Bisogna tenere la mente aperta, continuare a riflettere, ma io non voglio che la gente veda quello che vedo io o pensi ciò che penso io.
L'interpretazione di uno spettacolo sta al pubblico e forse, a lungo andare, ai filosofi".
   

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