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I Masnadieri brutali di Popolizio

Verdi in versione innovativa. Successo per Roberta Mantegna

Che I Masnadieri non siano l'opera più riuscita di Giuseppe Verdi è noto ai più e portarla in scena con la regia di un 'esordiente' come Massimo Popolizio, alla sua prima prova nella lirica, è il secondo atto di coraggio del Teatro dell'Opera di Roma che in modo molto evidente ha scelto questa strada per la nuova stagione. Arriva infatti dopo la bellissima Damnation de Faust di Hector Berlioz, primo appuntamento nel segno dell'innovazione con un testo tutto da scoprire e una regia che lascia il segno come quella di Damiano Micheletto (il podio era di Daniele Gatti).

In quella occasione, alla prima, c'era stata qualche contestazione rivolta alla messinscena, cosa che si è replicata anche il 21 gennaio alla prima dell'opera verdiana (in scena fino al 4 febbraio) che ha visto sul podio Roberto Abbado. Contestazioni isolate, sommerse poi dagli applausi scroscianti per la prova di Roberta Mantegna nei panni di Amalia, in un finale su cui mi piacerebbe sapere l'opinione di chi, dopo l'iniziativa de Il Maggio fiorentino di cambiare quello della Carmen, alimenta di questi tempi il dibattito sul femminicidio.

L'atmosfera dell'opera del resto è cupa, tragica anche se Verdi a volte si lascia andare a toni di leggerezza che un po' stridono in una vicenda in cui Popolizio ha saputo rendere molto bene, con accenti di ronconiana memoria, facendo dei Masnadieri un archetipo di brutalità. Nel deserto nebbioso, sapientemente retrodatato al Medioevo e con i masnadieri trasformati in spietati e impresentabili mercenari, anima nera dell'umanità in una storia di odio in tutte le sue sfumature che finisce annegando nel sangue l'unico elemento positivo ed angelico senza un briciolo di pietà. Scena estremamente essenziale, con un quasi assoluto bianco e nero, dove spicca solo un mare rosso sangue, e una striscia di nubi tempestose che come un pensiero sfuggente ed inquietante scorrono in alto con un tocco Sturm und Drang di grande efficacia.

Sul palco Stefano Secco e Andeka Gorrotxategui che si alterneranno nei panni di Carlo e Artur Rucinski e Giuseppe Altomare in quelli di Francesco, Riccardo Zanellato come Massimiliano Moor, e nel ruolo di Amalia appunto, il soprano Roberta Mantegna, diplomatasi a Fabbrica, il vivaio dell'Opera di Roma che ha superato ieri sera la prova a pieni voti, anche dal punto di vista scenico, su cui evidentemente Popolizio puntava molto per i cantanti qui in veste di attori senza mezzi termini. Con le scene di Sergio Tramonti, i costumi di Silvia Aymonino, le luci di Roberto Venturi, i video di Luca Brinchi e Daniele Spanò e la direzione del coro affidata a Roberto Gabbiani, coro del Teatro dell'Opera molto impegnato anche ieri sera in un'opera in cui le scene corali sono determinanti e che non delude mai.

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