La trasposizione teatrale di un
romanzo è sempre operazione complessa. Anche quando il testo
letterario si presta, apparentemente, per la sua struttura e per
le atmosfere che evoca. 'Il nome della rosa' è un caso
emblematico. Il romanzo scritto da Umberto Eco nel 1980 è ricco
di suggestioni, un raffinato gioco di riflessioni filosofiche
sullo sfondo di un giallo di forte impatto drammatico. Lo aveva
ben capito Jean Jacques Annaud quando nel 1986 ne trasse un film
di grande successo con Sean Connery. Il passaggio su una scena
teatrale però è più ostico. Una sfida insomma difficile quella
tentata dallo Stabile di Genova con lo Stabile di Torino e lo
Stabile del Veneto che ieri hanno proposto alla Corte il romanzo
di Eco nella versione teatrale di Stefano Massini con la regia e
l'adattamento di Leo Muscato. Il folto pubblico ha applaudito al
termine con calore, premiando lo sforzo di tutti gli interpreti.
Muscato ha costruito una lettura intensa, a tratti un po'
troppo lenta, ma tecnicamente ben strutturata. Atmosfere cupe,
naturalmente, ma anche scatti ironici nella resa di alcuni
caratteri o nella organizzazione dei dialoghi, soprattutto
laddove , sulla scia di Eco, emergeva la contrapposizione fra
due idee assai diverse della fede cristiana.
Muscato ha trovato piena rispondenza in un cast duttile e
vivace. Luca Lazzareschi è stato un equilibrato e acuto
Guglielmo da Baskerville, Luigi Diberti ha vestito con belle
soluzioni i panni del vecchio Adso, mentre Giovanni Anzaldo era
lo stesso personaggio da giovane. Bene infine Eugenio Allegri in
Ubertino e con lui gli altri attori come Giulio Baraldi, Marco
Gobetti, Bobb Marchese, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Alfonso
Postiglione, Arianna Primavera, Franco Ravera e Marco Zannoni.
Suggestive le musiche di Daniele D'Angelo, bella la scena di
Margherita Palli. Repliche fino al 29 ottobre.
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