"Ho avuto paura di morire anche io.
Mio fratello ha tentato di uccidermi. Quello che ha fatto a
Sharon poteva succedere a me. Ne sono convinta". Ad affermarlo
al Corriere della Sera è Awa, sorella di Moussa Sangare, il
30enne che ha confessato il delitto di Sharon Verzeni. "È stata
un'escalation — dice - Io e mia madre Kadiatou abbiamo fatto di
tutto per aiutarlo. Non volevamo credere a quello che ha
confessato. Con mamma siamo scoppiate in lacrime. Forse però se
ci avessero ascoltate Sharon sarebbe ancora viva. Il nostro
pensiero va a lei e alla sua famiglia".
La famiglia aveva denunciato la violenza di Moussa tre volte:
"La prima nel 2023, l'ultima a maggio. Danneggiamenti, violenza
domestica, maltrattamenti. Eravamo in pericolo. Nessuno si è
mosso. Sia io sia il mio avvocato abbiamo scritto al sindaco,
agli assistenti sociali. I segnali c'erano tutti. Volevamo
aiutarlo a liberarsi dalla dipendenza. Ci abbiamo provato: hanno
detto che doveva essere lui a presentarsi volontariamente. Non
lo ha fatto". Il giovane era cambiato "dal suo ritorno
dall'estero. Nel 2019. Moussa ci ha detto che aveva fatto uso di
droghe sintetiche. Non era più lui". Era violento: "Per qualche
anno abbiamo tentato di contenerlo. Nel 2023, ad aprile, mia
mamma ha avuto un ictus. La situazione è degenerata: quella
notte ha tentato di buttare giù la porta. Voleva i soldi. Tre
mesi dopo ha aperto il gas, incendiando la cucina".
A novembre "mi ha minacciato con parole pesanti. Mi ha detto
'Ti ammazzo', mi ha gettato oggetti addosso. Abbiamo chiesto
aiuto ai servizi sociali e al sindaco. Siamo state lasciate
sole". "Il 9 maggio scorso mi ha puntato contro un coltello,
prendendomi alle spalle. Ero in cucina, ascoltavo musica con le
cuffie. È scattato il codice rosso e il suo allontanamento.
Abbiamo scoperto che aveva occupato la casa al piano terra".
"Non è stato fatto nulla. Forse un accertamento sanitario
andava richiesto. Nessuno si è presentato, nessuno ha
controllato".
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