Paolo Petroni
(ANSA) - ROMA, 29 GIU - Se una cosa ci ricorda questa
pandemia è che la natura è sempre più forte, più resistente
dell'uomo. Non per nulla molti scrittori (e poi drammaturghi,
registi di film e artisti diversi) da sempre hanno raccontato e
creato storie esemplari, tra cronaca e metafora, su pestilenze,
epidemie e altri cataclismi che cancellano o quasi il genere
umano dalla Terra e ne mettono a nudo la sua vera natura.
In tredici interventi, questo compreso (''Pandemia e day
after'': usciti tra il 5 maggio e oggi) abbiamo visto come gli
scrittori, le cui verità letterarie sono spesso più incisive di
quelle reali, ci hanno descritto e hanno usato le pestilenze per
raccontarci dell'uomo, di noi e del nostro mondo. Abbiamo
puntato sulla letteratura, tralasciando la ricca mole di
saggistica, e siamo partiti da citazioni delle antiche pesti
ricordate da Tucidite o Omero, da Tito Livio o Galeno, passando
a quelle di Boccaccio, poi di Machiavelli per arrivare alle
seicentesche di Manzoni e di Defoe, ma partendo da metaforici e
esemplari romanzi contemporanei come ''La peste'' di Albert
Camus o ''Cecità'' di Jose Saramago e proseguendo con la ''Peste
purpurea'' di Jack London e ''La nube purpurea'' di Matthew
Shiel, con ''Nemesi'' di Philip Roth e ''Zona uno'' di Colson
Whitehead, con ''Ottima è l'acqua'' di Primo levi e ''Anna'' di
Ammaniti, ''Dissipatio HG'' di Guido Morselli e ''La coda della
cometa'' di Italo Cremona, ''L'amore al tempo del colera'' di
Garcia Marquez, Etgar Keret ''Un intoppo ai limiti della
galassia'' e ''Peste e colera'' di Patrick Deville più altre
citazioni minori. Ogni volta in questi romanzi abbiamo ritrovato
qualcosa di preciso di quel che stavamo vivendo noi : queste
cronache di day after, queste supposizioni di arrivo al limite e
di salvezza in extremis possono essere qualcosa che ci aiuta a
capire e riflettere su quel che ci sta accadendo in questo 2020,
magari a metabolizzarlo in qualche modo, così da ripartire, come
si dice ora, sapendo almeno un poco di più chi siamo.
Lo stanno metabolizzando anche gli scrittori, ovviamente,
con la loro sensibilità se il Nobel turco Orhan Pamuk lavorava,
come più volte annunciato, da alcuni anni a un romanzo su una
pandemia inizio Novecento ora in uscita e presto tradotto in
italiano per Einaudi, ''Le notti della peste''. L'autore cita
come fonte principale d'ispirazione ''I promessi sposi'' di
Manzoni, ma anche inevitabilmente il romanzo di Camus e le
cronache di Defoe. Siamo su Minger, un'immaginaria isola tra
Rodi e Cipro. Lo scrittore ha spiegato che si tratta della terza
peste arrivata dall'estremo oriente, dalla Cina, dove fece
milioni di vittime, mentre in Europa si riuscì a fermarla, ma
l'Impero Ottomano stava praticamente nel mezzo. Siamo sotto il
regno del sultano Abdul Hamid, l'isola è governata da una donna,
Sami Pasha, e il primo capitolo si intitola ''Il governo negala
peste'' con poi rivolte anti quarantena e altri fatti di cronaca
che si sono ripetuti sempre eguali nella storia come oggi. Al
centro anche drammatiche storie di bambini. E poi aggiunge: ''la
ragione per cui abbiamo scelto un tema e non un altro la capiamo
solo alla fine del lavoro''.
In tutti questi libri di epoche diverse per il filosofo
Sergio Givone, autore di ''Metafisica della peste - Colpa e
destino'' (Einaudi, pp. 208 - 20,00 euro) si richiamano 'in
eco' altrettante declinazioni di un'unica domanda, che è poi il
quesito fondamentale di ogni filosofia: perché? Perché siamo al
mondo, se dobbiamo morire? Specie se la morte può arrivare nella
forma di una catastrofica, immotivata e noncurante malattia che
appare e scompare senza senso alcuno. Una malattia che uccide,
ma che può far di peggio, lasciando le sue vittime 'solo' vive,
nude e private di qualunque parvenza di civile umanità. Perché
anche l'umanità può rivelarsi una maschera. E' chiaro quindi che
il virus, la malattia, la paura, l'isolamento sono temi molto
affascinanti per la fantasia di uno scrittore. Così, un critico
come Gabriele Pedullà è pronto a scommettere che il lockdown e i
mesi del Coronavirus si tradurranno nei prossimi anni in un boom
di un genere letterario per alcuni versi nuovo, e ogni autore
declinerà il tema a suo modo, con romanzi intimisti e altri
tutti d'azione.
Siamo andati citando le epidemie del passato anche recente,
circolano cronache e foto della Spagnola che devastò l'Europa
tra fine e dopo prima guerra mondiale. Ecco gente per strada con
le mascherine, ecco piazze vuote. Davanti alla malattia grave e
diffusa, il tempo da una parte rallenta, nel chiuso delle case
serrate, dall'altra accelera, con ogni gesto che ci pare e
potrebbe essere l'ultimo prima di essere colpiti e magari uccisi
dal virus. Assieme con l'emergenza si acuiscono scelte e
diversità, da quelle morali imposte dalla situazione, a quelle
sociali, con la disparità che aumenta tra chi ha quel che serve
a superare la crisi e chi rischia di perdere tutto. Quindi di
punti di vista da cui raccontare il fenomeno ce ne saranno
sicuramente molti.
A questo proposito e a conclusione forse conviene ricordarci
tutti anche del povero Edipo divenuto Re di Tebe che indaga
sulla mortale epidemia che ha colpito la sua città per arrivare
a scoprire di esserne lui l'inconsapevole causa. L'invito a
pensare a un mondo diverso, a un nuovo modello di sviluppo per
cercare di salvarci è forse la cosa più chiara uscita da questi
giorni, se non vogliamo finire come il padre e il figlio di
Cormac McCarthy su ''La strada'' che si aggirano in un mondo
desertificato post apocalittico con la sopravvivenza ridotta
all'estrema essenza, nella ferocia come nella tenerezza. (ANSA).