ILIAS VENEZIS, 'IL NUMERO 31328 - IL LIBRO DELLA SCHIAVITÙ' (SETTECOLORI, pp. 290 - 22 euro). In Grecia la chiamano 'Katastrofì', catastrofe, e si riferisce agli eventi bellici che portarono al gigantesco scambio di popolazione tra Turchia e Grecia in seguito agli eventi bellici del 1919-1922, eventi nati dal tentativo di annessione da parte di Atene di quella parte di Asia Minore dove era da sempre massiccia la presenza ellenica, con l'idea di arrivare fino ad Ankara. Un tentativo finito in tragedia, con la violenta controffensiva delle truppe kemaliste turche e di brutali milizie irregolari e l'incendio di Smirne del 13 settembre 1922, costato la vita a migliaia di persone, non solo greci.
Tra i greci della località di Aivalì c'era anche Ilias Mellos, 18enne futuro scrittore che avrebbe preso poi lo pseudonimo di Ilias Venezis e che, preso prigioniero dai turchi, fu ridotto in schiavitù in uno dei cosiddetti 'Battaglioni di lavoro' che nel suo caso portò circa 3.000 greci verso l'interno dell'Anatolia: molti di loro morirono durante la marcia, e i sopravvissuti furono solo 23. Tra loro Venezis, che racconta la sua terrificante esperienza in 'Il numero 31328 - Il libro della schiavitù', che esce ora, nel centenario della tragedia di Smirne, peri i tipi di Settecolori, per la prima volta in traduzione dal greco - una precedente edizione italiana era stata tradotta dal francese - di Francesco Colafemmina e una prefazione di Antonia Arslan.
Con un linguaggio secco e senza concessioni alla retorica, a tratti anche paradossalmente leggero, Venezis racconta dove può giungere la disumanità, la violenza contro i proprio simili e l'indifferenza, preannunciando - il libro uscì in Grecia nel 1931, suscitando enorme scalpore - l'immane mostruosità dell'Olocausto. E lo racconta col proprio nome, Ilias Mellos, il protagonista che osserva con i suoi occhi diciottenni soprusi indicibili, disgraziati tentativi di mantenere una qualche umanità, e - proprio come sarebbe avvenuto nei campi di concentramento nazisti - il ruolo dei kapò greci, spesso più feroci degli stessi turchi.
Un dramma di quegli anni che in Grecia è ancora fortemente sentito, vista l'ancora massiccia presenza dei discendenti delle centinaia di migliaia di elleni che furono costretti a lasciare le loro case in Turchia, ma è ignorato o quasi all'estero. 'Il numero 31328' è un'occasione per rileggere quel cupo passato di un angolo di mondo tra Europa ed Asia, ma anche una lettura potente che non può lasciare indifferenti.
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