(di Marisa Alagia)
(ANSA) - MILANO, 30 APR - LUCIANO CLERICO. IL DOPO (LUNA
EDIZIONI, 208 pp, Euro 15) - C'è dentro ognuno di noi, per
ciascuno di noi, un dopo. Può condurre ad un luogo fisico o a
uno stato mentale. A ricordi, sogni, speranze attuate o deluse.
Il Dopo del titolo è un edificio. Una villa patrizia diventata
un secolo fa Casa del Popolo, a cui Luciano Clerico, giornalista
e scrittore, affida il compito di raccontare cento anni di
storia, a Lessona, piccolo paese delle Prealpi Biellesi, dove
l'autore è cresciuto. Una delle prime aperte in Italia (venne
inaugurata il primo maggio 1921), trasformata per legge nel 1928
in Dopolavoro fascista (il Dopo, appunto), affacciata sulle
colline e sulle vigne dell'Alto Piemonte, per cento anni è stata
e continua ad essere un luogo di incontro. Ed è proprio il Dopo
la voce narrante, che racconta in prima persona le tante storie
di operai, commercianti, contadini, che da lì sono passati.
"Storie piemontesi dal valore extra piemontese - garantisce
l'editore Beppe Valperga, di Luna Edizioni - Di umanità diffusa
in cui ciascuno di noi può trovare qualcosa di sé". Nove in
tutto, in cui il protagonista della prima diventa comparsa nella
seconda, e così via, seguendo una narrazione circolare che punta
a esprimere la coralità di una dimensione collettiva, l'anima di
un paese. "Un libro sicuramente fuori dagli schemi tradizionali,
dove la realtà romanzata si sviluppa attraverso un filo
conduttore rappresentato da un pezzo di storia quale è il Dopo -
scrive nella prefazione Gabriele Tacchini, storico caporedattore
di Ansa Milano, presidente del Gruppo Lombardo giornalisti
sportivi e fondatore del Premio PontedilegnoPoesia - Leggendolo
posso dire che oggi Luciano ha trovato una sua nuova vera
dimensione: l'anima dello scrittore ha soppiantato quella del
giornalista dopo essere convissute per lungo tempo". Il Dopo,
che sarà presentato in anteprima al Salone del Libro di Torino,
è in primo luogo, come scrive Tacchini, "un atto d'amore verso
una terra e la sua gente". "E' vero - ammette Clerico -. Il
tentativo è stato quello di raccontare un modo d'essere che è
proprio di quei posti. Ma non è facile trovare una lingua che
renda, in italiano, l'immediatezza del dialetto e nello stesso
tempo mantenga la forza della narrazione. Ho dovuto lavorare
molto sulla parola, cercare dialoghi che esprimessero, in
italiano, il ritmo della lingua dialettale. Con le dovute
proporzioni, Fenoglio, Pavese e Primo Levi mi hanno aiutato
tantissimo. Ma per andare subito al "nocciolo" di ciò che
intendevo rievocare, mi è stato di grande aiuto anche aver
lavorato per tanti anni all'Ansa. In quello, credo, sta il
valore extra piemontese di queste storie che sono, e vogliono
essere, squisitamente piemontesi". (ANSA).
AA-EM/ S0B QBXB (ANSA).
'Il Dopo', quando un edificio racconta la storia
Clerico, Casa del Popolo ha dato voce a gente del mio Piemonte
