(ANSA) - ROMA, 22 MAR - Per gentile concessione della Rizzoli
pubblichiamo un brano dal primo capitolo del romanzo 'La scelta'
di Walter Veltroni che esce il 22 marzo.
"Per fortuna sono sola, a casa. Papà è al lavoro. Mamma si
muove come una faina nel quartiere per cercare qualcosa che
assomigli al caffè e Arnaldo, mio fratello, da giorni non dà
notizie.
Ma siamo abituati. Mamma dice che i diciottenni sono tutti
così. Sarà pure, ma a me un po' dispiace. Mi manca. Quando
dorme qui, ormai raramente, i suoi capelli sfiorano i miei. Le
brande sono messe a elle, nella nostra stanza, e avvertire il
contatto con la sua testa mi regala un po' di calore, un po' di
sicurezza.
Quando manca, quasi sempre, la casa mi sembra deserta.
E allora, per darmi conforto, parlo a voce alta, neanche fossi
una matta. No, non sono pazza, almeno credo. Sono sola, questo
sì. D'altra parte è ormai tempo che non vado a scuola. Abbiamo
finito prima le lezioni, quest'anno. E non è aria di
passeggiare al parco o di organizzare festicciole con le amiche.
Non è aria di far niente.
Se non aspettare. Io non so cosa, mi sembra che nessuno lo
sappia. Bisogna aspettare. Che tutto finisca.
Papà da un po' di tempo sembra preoccupato. Parla poco anche a
tavola, la sera. Lui sempre così allegro, con una risata facile
e frequente, una risata con il risucchio, rumorosa, che mi
provocava sempre tanto imbarazzo, davanti agli altri, e della
quale invece sento la mancanza, ora.
Quando mamma gli chiede se c'è qualcosa che non va, lui
risponde con un grugnito e con le braccia indica fuori dalla
finestra. Mi sembra voglia dire: «Ma non vedi quello che c'è
fuori, non capisci?».
Mamma allora alza gli occhi al cielo, mi intima di stare
composta, di non puntare i gomiti sulla tavola da pranzo. Me lo
dice anche se non lo sto facendo.
Io non rispondo perché capisco che lei, in quei momenti, non sa
trovare le parole giuste. Non sa come entrare nei pensieri di
papà, ma non vuole neanche lasciare nell'aria quel silenzio
imbarazzante che segue le liti tra genitori.
E allora si rivolge a me e mi rimprovera. Io la capisco e
affondo il cucchiaio nella insipida minestra con i cavoli che
mamma è riuscita a rimediare dal sor Luigi, il verdumaio di via
Lanciani.
Però tra me e me penso che in fondo, invece, sarebbe davvero
impossibile per chiunque rispondere alla sua domanda - la
professoressa di italiano che per me stravede, sa quanto studio
e mi impegno, mi ha insegnato che quelle così si chiamano
"domande retoriche" - per il semplice motivo che nessuno vede
oltre le finestre, vede "quello che c'è fuori".
Infatti da mesi, la sera, si deve appoggiare della carta blu ai
vetri, per oscurare la vista di tutti noi agli aerei americani,
o come si dice "alleati", che potrebbero bombardarci.
Certe volte penso anche sia un modo per impedire a noi di vedere
come sono e quanti sono, loro.
Ma io, sempre tra me e me, mi chiedo perché dobbiamo ripetere
tutte le sere questa pagliacciata se è vero quello che papà
ribadisce sempre, con quel vocione che assomiglia alla forma del
suo corpo: «Gli americani non possono bombardare Roma, è la
città del papa. E poi c'è il Colosseo».
Glielo ha confermato sicuro sicuro il Presidente dell'azienda
presso cui lavora, in via di Propaganda. È un signore
importante, si chiama Manlio Morgagni ed è il capo dell'agenzia
Stefani, credo sia persino il proprietario, ma non ho capito
bene. Se lui, che le cose le sa, ha fatto una affermazione così
netta, deve proprio essere vera.
Era metà giugno quando papà ce lo ha raccontato.
È stata l'ultima volta che l'ho visto sorridere, a tavola.
Tornato a casa, si era tolto la sua bella divisa da usciere,
aveva riposto sull'attaccapanni il cappello nero con su scritto,
cucitura in oro, AGENZIA STEFANI, e tutto gongolante aveva detto
di doverci riferire una cosa importante.
Mi piaceva quando raccontava del lavoro. Una volta mi aveva
anche portata in ufficio, ma ero piccola piccola e non ricordo.
Però tra i suoi racconti e quella visita un'idea me la sono
fatta. Secondo me ci sono lunghi corridoi, forse tutti uguali, e
delle stanze che si affacciano su di essi.
Immagino le persone incaricate di fornire le notizie correre
alle telescriventi, che papà dice di avermi fatto vedere, ma
delle quali sento nella mente solo il rumore: un ticchettio come
di mille orologi.
Immagino tante voci e persone in camicia con le maniche
arrotolate, immagino tante sigarette nei posacenere e bicchieri
sporchi sui tavoli. Insomma, un suono energico e festoso che mi
sembra un miraggio ora che casa mia - con Arnaldo che non c'è,
mio padre muto e mamma che non sa che dire - è un deserto di
voci e di rumori.
Insomma, quella sera, papà era orgoglioso di se stesso, del
coraggio che per una volta aveva avuto, rompendo qualcosa che
era a metà tra timidezza e, soprattutto, timore dell'autorità
assoluta dell'uomo che aveva davanti a sé, il Presidente al
quale, come tutte le mattine, aveva portato il caffè in una
tazzina Richard Ginori collocata su un cabaret bianco con le
maniglie a forma di testa di serpente". (ANSA).
'La scelta', un brano dal nuovo romanzo di Walter Veltroni
Esce 22 marzo per Rizzoli
