Se hai scelto di non accettare i cookie di profilazione e tracciamento, puoi aderire all’abbonamento "Consentless" a un costo molto accessibile, oppure scegliere un altro abbonamento per accedere ad ANSA.it.

Ti invitiamo a leggere le Condizioni Generali di Servizio, la Cookie Policy e l'Informativa Privacy.

Puoi leggere tutti i titoli di ANSA.it
e 10 contenuti ogni 30 giorni
a €16,99/anno

  • Servizio equivalente a quello accessibile prestando il consenso ai cookie di profilazione pubblicitaria e tracciamento
  • Durata annuale (senza rinnovo automatico)
  • Un pop-up ti avvertirà che hai raggiunto i contenuti consentiti in 30 giorni (potrai continuare a vedere tutti i titoli del sito, ma per aprire altri contenuti dovrai attendere il successivo periodo di 30 giorni)
  • Pubblicità presente ma non profilata o gestibile mediante il pannello delle preferenze
  • Iscrizione alle Newsletter tematiche curate dalle redazioni ANSA.


Per accedere senza limiti a tutti i contenuti di ANSA.it

Scegli il piano di abbonamento più adatto alle tue esigenze.

Libri
  1. ANSA.it
  2. Cultura
  3. Libri
  4. 'La scelta', un brano dal nuovo romanzo di Walter Veltroni

'La scelta', un brano dal nuovo romanzo di Walter Veltroni

Esce 22 marzo per Rizzoli

(ANSA) - ROMA, 22 MAR - Per gentile concessione della Rizzoli pubblichiamo un brano dal primo capitolo del romanzo 'La scelta' di Walter Veltroni che esce il 22 marzo.
    "Per fortuna sono sola, a casa. Papà è al lavoro. Mamma si muove come una faina nel quartiere per cercare qualcosa che assomigli al caffè e Arnaldo, mio fratello, da giorni non dà notizie.
    Ma siamo abituati. Mamma dice che i diciottenni sono tutti così. Sarà pure, ma a me un po' dispiace. Mi manca. Quando dorme qui, ormai raramente, i suoi capelli sfiorano i miei. Le brande sono messe a elle, nella nostra stanza, e avvertire il contatto con la sua testa mi regala un po' di calore, un po' di sicurezza.
    Quando manca, quasi sempre, la casa mi sembra deserta.
    E allora, per darmi conforto, parlo a voce alta, neanche fossi una matta. No, non sono pazza, almeno credo. Sono sola, questo sì. D'altra parte è ormai tempo che non vado a scuola. Abbiamo finito prima le lezioni, quest'anno. E non è aria di passeggiare al parco o di organizzare festicciole con le amiche.
    Non è aria di far niente.
    Se non aspettare. Io non so cosa, mi sembra che nessuno lo sappia. Bisogna aspettare. Che tutto finisca.
    Papà da un po' di tempo sembra preoccupato. Parla poco anche a tavola, la sera. Lui sempre così allegro, con una risata facile e frequente, una risata con il risucchio, rumorosa, che mi provocava sempre tanto imbarazzo, davanti agli altri, e della quale invece sento la mancanza, ora.
    Quando mamma gli chiede se c'è qualcosa che non va, lui risponde con un grugnito e con le braccia indica fuori dalla finestra. Mi sembra voglia dire: «Ma non vedi quello che c'è fuori, non capisci?».
    Mamma allora alza gli occhi al cielo, mi intima di stare composta, di non puntare i gomiti sulla tavola da pranzo. Me lo dice anche se non lo sto facendo.
    Io non rispondo perché capisco che lei, in quei momenti, non sa trovare le parole giuste. Non sa come entrare nei pensieri di papà, ma non vuole neanche lasciare nell'aria quel silenzio imbarazzante che segue le liti tra genitori.
    E allora si rivolge a me e mi rimprovera. Io la capisco e affondo il cucchiaio nella insipida minestra con i cavoli che mamma è riuscita a rimediare dal sor Luigi, il verdumaio di via Lanciani.
    Però tra me e me penso che in fondo, invece, sarebbe davvero impossibile per chiunque rispondere alla sua domanda - la professoressa di italiano che per me stravede, sa quanto studio e mi impegno, mi ha insegnato che quelle così si chiamano "domande retoriche" - per il semplice motivo che nessuno vede oltre le finestre, vede "quello che c'è fuori".
    Infatti da mesi, la sera, si deve appoggiare della carta blu ai vetri, per oscurare la vista di tutti noi agli aerei americani, o come si dice "alleati", che potrebbero bombardarci.
    Certe volte penso anche sia un modo per impedire a noi di vedere come sono e quanti sono, loro.
    Ma io, sempre tra me e me, mi chiedo perché dobbiamo ripetere tutte le sere questa pagliacciata se è vero quello che papà ribadisce sempre, con quel vocione che assomiglia alla forma del suo corpo: «Gli americani non possono bombardare Roma, è la città del papa. E poi c'è il Colosseo».
    Glielo ha confermato sicuro sicuro il Presidente dell'azienda presso cui lavora, in via di Propaganda. È un signore importante, si chiama Manlio Morgagni ed è il capo dell'agenzia Stefani, credo sia persino il proprietario, ma non ho capito bene. Se lui, che le cose le sa, ha fatto una affermazione così netta, deve proprio essere vera.
    Era metà giugno quando papà ce lo ha raccontato.
    È stata l'ultima volta che l'ho visto sorridere, a tavola.
    Tornato a casa, si era tolto la sua bella divisa da usciere, aveva riposto sull'attaccapanni il cappello nero con su scritto, cucitura in oro, AGENZIA STEFANI, e tutto gongolante aveva detto di doverci riferire una cosa importante.
    Mi piaceva quando raccontava del lavoro. Una volta mi aveva anche portata in ufficio, ma ero piccola piccola e non ricordo.
    Però tra i suoi racconti e quella visita un'idea me la sono fatta. Secondo me ci sono lunghi corridoi, forse tutti uguali, e delle stanze che si affacciano su di essi.
    Immagino le persone incaricate di fornire le notizie correre alle telescriventi, che papà dice di avermi fatto vedere, ma delle quali sento nella mente solo il rumore: un ticchettio come di mille orologi.
    Immagino tante voci e persone in camicia con le maniche arrotolate, immagino tante sigarette nei posacenere e bicchieri sporchi sui tavoli. Insomma, un suono energico e festoso che mi sembra un miraggio ora che casa mia - con Arnaldo che non c'è, mio padre muto e mamma che non sa che dire - è un deserto di voci e di rumori.
    Insomma, quella sera, papà era orgoglioso di se stesso, del coraggio che per una volta aveva avuto, rompendo qualcosa che era a metà tra timidezza e, soprattutto, timore dell'autorità assoluta dell'uomo che aveva davanti a sé, il Presidente al quale, come tutte le mattine, aveva portato il caffè in una tazzina Richard Ginori collocata su un cabaret bianco con le maniglie a forma di testa di serpente". (ANSA).
   

        RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

        Video ANSA



        Modifica consenso Cookie