"Da anni volevo scrivere un libro
sull'esperienza umana più terribile, la consapevolezza che si
deve morire, e alla fine ho deciso di farlo nell'ottica di un
bambino, l'ultima persona al mondo che dovrebbe avere quella
consapevolezza. Usando, come situazione il primo amore, altra
esperienza devastante e meravigliosa". Così Domenico Starnone,
tra gli scrittori italiani più amati, vincitore nel 2001 del
Premio Strega con Via Gemito, autore di libri di successo come
Lacci, La scuola, Denti, Auguri professore, tutti diventati
film, ha presentato il suo atteso ultimo lavoro, Vita mortale e
immortale della bambina di Milano, uscito da Einaudi in questi
giorni.
Il testo di Starnone, ancora una volta denso di umanità,
caratterizzato da una scrittura semplice, ma perfetta, empatica
e senza tempo, è tante cose: è una storia di iniziazione alla
vita di un giovane maschio, una storia di visioni contrapposte
della femminilità, da una parte la bellissima bambina di Milano,
che il protagonista vede danzare, elegante e altera, sbirciando
dal balcone, dall'altra la nonna, secondo lui bruttissima,
rugosa, piegata da una vita di sacrifici, napoletana come lui e
che per lui si butterebbe nel fuoco. Ed è anche una storia
linguistica: da una parte il milanese, lingua del ricco nord, e
il napoletano, lingua della quale ci si può anche 'vergognare',
lingua delle origini, idiomi che miracolosamente si incontrano
quando il bambino incontra la letteratura, ovvero l'italiano.
Il libro si apre con il mito di Orfeo, che era andato a
riprendersi la fidanzata Euridice, finita sottoterra a causa del
morso di una serpe. "Progettavo di fare lo stesso con una
bambina che disgraziatamente non era la mia fidanzata - si legge
all'inizio del romanzo - ma che poteva diventarlo se fossi
riuscito a riportarla da sotto a sopra la terra, incantando
scarafaggi, moffette, topi e toporagni. Il trucco era non
girarsi mai a guardarla, cosa per me difficile ancor più che per
Orfeo, col quale sentivo di avere parecchie affinità".
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