(di Alberto Zanconato)
'LUCIANA BORSATTI, L'IRAN AL TEMPO DI
BIDEN (CASTELVECCHI, PP. 170, € 17.50)
Dalle ultime sanzioni dell'era Trump all'apparente svolta del
suo successore alla Casa Bianca, fino alle presidenziali
iraniane del 18 giugno, tappa finale della progressiva ripresa
dei pieni poteri da parte del fronte ultraconservatore,
rappresentato dal capo della magistratura Ebrahim Raisi,
rispetto a quello moderato del presidente uscente Hassan
Rouhani. E' la storia che racconta L'Iran al tempo di Biden, che
fa idealmente seguito alle due edizioni di L'Iran al tempo di
Trump (Castelvecchi 2018-20) nel raccontare l'ultima, difficile
stagione dei rapporti tra Teheran e Washington: un racconto che
mette al centro la stretta interazione tra gli sviluppi politici
interni alla Repubblica Islamica e le strategie statunitensi in
Medio Oriente. E che ancora una volta suggerisce uno sguardo
anche italiano su questo controverso Paese, nel parlare per
esempio di tante "vite sospese" tra Italia e Iran a causa delle
sanzioni Usa o della vicenda storica - ripercorsa in un
suggestivo documentario di Bahman Kiarostami - del
transatlantico Raffaello, il "cigno bianco" venduto dal nostro
governo allo scià e affondato dai missili di Saddam nelle acque
di Bushehr.
Luciana Borsatti - per tre decenni giornalista dell'ANSA-
non solo guarda alle analisi geopolitiche, ma si ferma ad
ascoltare alcuni punti di vista degli iraniani, dalle posizioni
ufficiali delle autorità alle voci dei cittadini e della società
civile. Sono queste ultime a rappresentare parte degli umori
dell'opinione pubblica in un Paese che conta oltre 80 milioni di
abitanti ed è estremamente composito dal punto di vista sociale,
etnico e culturale. E dove, se è vasta l'area del dissenso
politico e profondo il disagio per il peggiorare delle
condizioni economiche di questi ultimi anni, non possono essere
sottovalutati - emerge da queste pagine - né il bacino di
consenso di cui ancora gode il sistema in certi strati sociali,
né un diffuso orgoglio nazionale contrapposto alle politiche più
aggressive dell'era trumpiana - politiche che appunto,
nonostante gli intenti, l'amministrazione Biden non ha ancora
messo mano a cancellare. Al loro posto restano infatti - mentre
procedono con difficoltà i negoziati di Vienna per il ritorno di
Washington e Teheran all'accordo sul nucleare del 2015,
abbandonato nel 2018 da Trump - le oltre mille sanzioni della
precedente presidenza Usa. Così come resta uguale, nel guidare
le scelte della Casa Bianca, l'allarme per le influenze di
Teheran nella regione (dal Libano alla Siria, dall'Iraq a Gaza)
e il suo programma missilistico: le due leve su cui poggiano le
aspirazioni di media potenza regionale dell'Iran ma anche le sue
strategie di difesa in un contesto dominato dalla superiorità
militare degli Stati Uniti e dei suoi alleati.
Nel contempo le conseguenze della politica di "massima
pressione" che Trump ha consegnato a Biden non hanno fatto altro
che impoverire larghi strati sociali (la cui sofferenza è
aumentata per la difficoltà del governo a prendere misure
efficaci contro la pandemia), rafforzare l'intransigenza
dell'ala dura in Iran, confermare il controllo sull'economia da
parte dei Pasdaran e stringere un altro giro di vite contro le
proteste e il dissenso. A queste politiche repressive e ad altre
violazioni dei diritti umani sono dedicati tre capitoli del
libro, uno dei quali centrato sulle donne e un altro sulle
difficoltà per i giornalisti in Iran. Ma si osserva anche come
l'esposizione mediatica delle gravi violazioni dei diritti umani
nella Repubblica Islamica sia significativamente inferiore a
quella di altre situazioni non meno condannabili in certi Paesi
alleati di uno "strabico" Occidente.
Altri capitoli sono infine dedicati all'Europa e all'Italia
come partner economici e attori politici fondamentali in questa
fase di ripresa della diplomazia per disinnescare la questione
iraniana - nella quale il dossier nucleare, si osserva, è solo
apparentemente l'aspetto centrale.
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