MARTA DILLON, APARECIDA (Gran Via
Editore, pp.224, 16 euro; traduzione di Camilla Cattarulla). La
maternità e la memoria. Il corpo come strumento di lotta e
resistenza. La testimonianza viva per contrastare la cultura del
patriarcato e la violenza sulle donne. E' una storia delicata e
potente quella che Marta Dillon racconta nel suo "Aparecida",
libro pubblicato in Italia da Gran Via con la traduzione di
Camilla Cattarulla. L'autrice argentina, una delle fondatrici
del movimento "Ni una menos", racconta il terribile destino di
sua madre, che nel 1976, in piena dittatura militare, viene
sequestrata, uccisa e poi sepolta in una fossa comune: i suoi
resti saranno recuperati solo trentaquattro anni dopo e infine
identificati nel 2010. Dillon, all'epoca solo una bambina,
ricostruisce sulla pagina ciò che ha vissuto come sorella
maggiore di tre fratellini, con una prosa intima che ha un
valore di testimonianza: nel libro, che fonde autobiografia,
biografia famigliare, giornalismo letterario e finzione,
l'autrice compone il suo incisivo racconto utilizzando
materiali eterogenei (documenti giudiziari, poesie, interviste,
canzoni, rapporti di polizia, documenti tecnico-scientifici,
sogni, descrizioni di fotografie e di filmini casalinghi). "Io
sono rimasta attaccata a quell'arco di luce sulla linea del
tempo lasciato dall'assenza di mia madre, tornando ai fatti,
alle parole, ai gesti, ai silenzi di allora, illuminati per
sempre dalla violenta falciatura del suo corpo. Una crociata
solitaria portando la sua voce, la sua voce nella mia memoria,
come una bandiera", scrive Dillon.
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