LEONARDO GUARNOTTA . C'ERA UNA
VOLTA IL POOL ANTIMAFIA. I MIEI ANNI NEL BUNKER (240 pagine,
zolfo editore, 18 euro).
La telefonata che gli cambiò la vita arrivò a Leonardo Guarnotta
una mattina di aprile 1984. Antonino Caponnetto, padre del pool
antimafia, gli proponeva di entrare nella squadra di Giovanni
Falcone, Paolo Borsellino e Peppino Di Lello. Guarnotta, che già
faceva parte dell'ufficio istruzione di Rocco Chinnici, ci pensò
qualche giorno poi seguì l'incoraggiamento della moglie: "Vedo
che vuoi farlo e allora fallo sia come uomo che come
magistrato". Cominciò così un'esperienza straordinaria e
drammatica che Guarnotta racconta con schietta semplicità e un
carico di ricordi umani nel libro "C'era una volta il pool
antimafia. I miei anni nel bunker" (240 pagine, Zolfo editore,
18 euro).
Nel pool trovò l'accoglienza sincera di colleghi diventati
subito amici e l'ironia sorniona di Borsellino. Ma anche un
lavoro di grande complessità. "C'era bisogno di qualcun altro -
ricorda l'ex magistrato - che si impegnasse anima e corpo a
'scalare' quella montagna di carte, di assegni, di
intercettazioni, di informative, di relazioni di servizio, di
vecchi rapporti giudiziari sepolti negli archivi". Nella pagine
di Guarnotta, introdotte da Attilio Bolzoni, scorre il racconto
di un metodo di lavoro nuovo e stimolante. Parla del rapporto
con i pentiti a partire da Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno,
degli scambi di informazioni tra colleghi assediati dalla mafia
ma anche dalle ostilità ambientali e dai veleni che investivano
il pool e soprattutto i suoi componenti più esposti. La città
appariva a quel manipolo di magistrati coraggiosi una
"santabarbara pronta a esplodere". Ma c'era e pensava anche la
consapevolezza del proprio ruolo e la necessità etica e
professionale di portare avanti un prezioso lavoro di scavo nel
sistema criminale delle collusioni e delle trame. Rileggendo gli
avvenimenti di quella stagione, culminati con le stragi e lo
smantellamento del pool, Guarnotta riconosce che "tanto normale
tutta questa storia lo è stata". "Ma si tratta - avverte subito
- di una consapevolezza che è arrivata dopo, molto dopo, con il
trascorrere del tempo, ritornando con il pensiero al nostro
lavoro, alle malevole critiche subite, ai tentativi di
destabilizzare il pool, ma soprattutto alla sorte toccata ai
colleghi che se ne sono andati, che non ci sono più". Sono i
prezzi pagati a un impegno che ha messo in ginocchio la mafia
come non era mai accaduto e cambiato il corso della storia. Nel
caso di Guarnotta sarebbe cambiata anche la vita. Come lasciava
intuire quella telefonata di Caponnetto, anche a Guarnotta è
toccato adeguarsi a vivere tra bunker, scorte e auto blindate.
Ma in fondo, dice, "ne è valsa la pena"
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