(di Giovanni Franco)
(ANSA) - PALERMO, 27 MAG - (GIANFRANCO MARRONE , LA FATICA DI
ESSERE PIGRI, RAFFAELLO CORTINA EDITORE 168 PP., 14 EURO)
"Poltrire è un'arte. E, come tutte le arti, prima che un
plauso, esige un lungo periodo di apprendimento, un vero e
proprio sforzo (fisico come intellettuale) per imparane le
tecniche giuste, per gestire una vocazione pertinente. Pigri si
nasce? Macché: piuttosto si diventa, se
si ha la capacità di fiutare l'aria che tira, di insinuarsi
nelle pieghe di un mondo in continuo divenire e, soprattutto, di
lottare contro le sirene stakanoviste che inneggiano al lavoro
come realizzazione di sé, all'azione come principio primo e fine
ultimo dell'essere umano". Un'analisi condotta da Gianfranco
Marrone, professore ordinario di Semiotica all'Università di
Palermon nel libro "La fatica di essere pigri". Un testo che
arriva in questa Fase 2 dopo il lockdown per la pandemia da
coronavirus: un periodo storico che ci ha messi tutti a fare i
conti con un tempo sospeso da declinare in tutti i suoi aspetti.
"E in un periodo di ozio forzato qual è quello che abbiamo
vissuto e dal quale stiamo lentamente uscendo - prosegue Marrone
- , riuscire a essere pigri è ancora più difficile e straziante.
Alla prova dei fatti, la gente non ce la fa, abituata com'è a un
regime di vita dove occorre essere sempre presenti e prestanti,
per cui lo stare obbligatoriamente in panciolle è vissuto come
un incubo, una tortura cinese. La nostra, è stato detto, è una
società della prestazione, una società nella quale è saltata
ogni differenza fra impegni e svago, di modo che il tempo libero
è ancora più affannoso, stancante, performante di quello del
lavoro. I nostri consumi sono — devono essere — altamente
produttivi: siamo tutti dei prosumer. Nella pausa pranzo
dall'ufficio ci fiondiamo in palestra per misurarci coi nostri
muscoli guizzanti. Terminate le fatiche del call center,
torniamo ad allenarci per l'ennesima maratona. Poi andiamo al
supermercato per la spesa d'ordinanza, e subito a casa per
preparare l'immancabile cena gourmet, badando a non dimenticare
le indicazioni della nutrizionista. Una lezione di tango chiude
la giornata. Mai fermi, mai pigri. Per rilanciare inseguiamo il
nostro mito infantile: partecipare alla prossima gara di Ironman
in un gelido paesino dei fiordi, facendo del nostro corpo una
macchina, e sfiorando la dimensione fumettistica del supereroe.
Ancora allenamenti su allenamenti, nel cosiddetto tempo libero,
sfiancandoci sino all'esaurimento, con l'app dello smartphone
che ci informa sul livello di rendimento raggiunto dal nostro
corpo". "Per non parlare delle vacanze, ottima occasione per
destinare allo sport l'intera giornata, salvo poi, tra una gara
e l'altra, godere di lunghe escursioni sulla cima del vulcano
più vicino", afferma.
E allora ecco emergere una metafora. "La fatica di essere pigri,
capiamo allora, è direttamente proporzionale a quella del vivere
che le varie società e le diverse culture impongono agli
individui: è una forza - osserva Marrone -che resiste a un'altra
forza; un progetto personale di vita che contrasta
l'organizzazione biopolitica della nostra esistenza", osserva il
saggista. Le lingue, di questo conflitto sotterraneo, sanno già
tutto. Il pigro, secondo il dizionario italiano, è qualcuno 'che
cerca di evitare la fatica e l'impegno', che sgobba dunque per
non strapazzarsi, per eludere gli impegni che il mondo gli
impone. Più che il latino (dove piger vuol dire immobile,
sterile, improduttivo), è il greco a essere più chiaro in
merito: nella lingua di Platone e Aristotele pigro è argos,
contrazione di a-ergos, dunque negazione del lavoro, dell'azione
operosa, dell'esecuzione di un compito qualsiasi". Eppure,
ricorda l'autore, "decisamente più interessante il punto di
vista di Leonardo Sciascia, che in Occhio di capra commenta un
modo di dire siciliano, un ritornello, quasi una preghiera, che
recita: 'O santa lagnusìa, 'un m abbannunari/ca mancu spieru
abbannunari a tia'. Ovvero 'O santa pigrizia non mi abbandonare
/ che io pure spero non abbandonarti'. Prima osservazione: nel
dialetto siciliano pigro si dice lagnusu, ossia qualcuno che si
lagna, che si compiange senza soluzione di continuità, e che fa
di questa lagnanza una specie di litania, un sottofondo musicale
che lo accompagna per ogni dove", osserva lo scrittore. Poi da
buon semiologo ricorda che Roland Barthes, esaltava la
saggezza orientale degli haiku, per i quali la poesia del mondo
sta nell'inoperosità. Così Basho : Seduto pacificamente senza
far nulla / viene la primavera / e
l'erba cresce da sola". Ma l'apoteosi della pigrizia si ha in
sede letteraria con Oblòmov, eroe eponimo del celebre romanzo
di Ivan Goncarov del 1859. "Basti dire che nelle prime 150
pagine del libro Il'jà Il'ic Oblòmov non s'alza mai dal sofà del
salotto, dove usa trascorrere - chiosa Marrone - quasi tutto il
suo tempo osteggiando le pretese di tutti quegli «altri» che lo
desidererebbero più attivo". (ANSA).