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The Brutalist, film monumentale di cemento e sentimenti

The Brutalist, film monumentale di cemento e sentimenti

Il film di Corbet con Brody è in corsa per dieci Oscar

ROMA, 04 febbraio 2025, 08:31

di Francesco Gallo

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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A Venezia 2024 molti davano giustamente vincente 'The Brutalist' che poi ottenne il secondo premio in ordine d'importanza, il Leone d'argento - Premio speciale per la regia andato a Brady Corbet. Ai Golden Globes andò ancora meglio, fece tris nei 'piani alti': miglior film, regia e attore protagonista, Adrien Brody. O ora gli Oscar in cui corre in dieci categorie tra cui: film, regia, attore protagonista, attore e attrice non protagonista (Guy Pearce e Felicity Jones), sceneggiatura e colonna sonora. Fin qui i numeri di un film 'monumentale' anche per la durata, 215 minuti, che racconta, tra poca realtà e molta fantasia, l'odissea dell'architetto ebreo ungherese László Tóth (Adrien Brody).

La storia melodrammatica, esaltata dalla pellicola 70 mm e dalla musiche di Daniel Blumber, di quest'uomo sopravvissuto all'Olocausto, di questo genio tormentato, problematico, drogato e forse anche abusato che emigra in America nel 1947, lasciando l'amata moglie malata (Felicity Jones) in Europa. Negli States inizialmente vive in estrema povertà finché incontra un singolare mecenate tanto pieno di sé quanto poco intelligente (Guy Pearce), che gli dà un incarico importante che potrebbe finalmente riscattarlo. Questo solo l'inizio di una incredibile vita piena di alti e bassi che fa riferimento a 'La fonte meravigliosa', romanzo del 1943 della scrittrice russo-americana Ayn Rand e poi film con Gary Cooper, con la vicenda umana di un architetto rivoluzionario contro il conservatorismo dell'establishment. The Brutalist, in applaudite anteprime in 70mm a Roma, Bologna e altre città e dal 6 febbraio in sala in tutta Italia con Universal, è insomma un film contaminato da gigantismo alla 'Faust' di Sokurov, un'opera totale wagneriana animata della stessa poetica brutalista di cui il personaggio (di fantasia) del film è un precursore. In architettura, il termine brutalista è applicato a un particolare uso del cemento armato (béton brut) e le sue opere sono caratterizzate da enormi strutture del tutto disadorne, simili a blocchi spesso impilati uno sull'altro e questo vale anche nel film dove c'è un gigantismo emotivo e strutturale senza troppe sfumature. "È in fondo un dramma del Ventesimo secolo - ha detto il regista statunitense Corbet - ci sono stati tanti architetti, ad esempio del Bauhaus, che non hanno potuto esprimersi e in quest'opera ho immaginato la storia virtuale di uno di loro. È un film in fondo dedicato agli artisti che non hanno mai realizzato la loro arte".

E ancora Corbet: "Ci ho lavorato ben sette anni. Per quanto riguarda poi la lunghezza di un'opera, personalmente credo che non ti compri un libro di settecento pagine se non lo merita. Il prossimo film potrei farlo di quarantacinque minuti". "Il mio personaggio di László Tóth era così ben scritto che mi sono trovato subito bene ad interpretarlo - ha detto Adrien Brody tra i favoriti all'Oscar quest'anno - Ho pensato poi a mia madre che ha avuto una vita simile: lei e i miei nonni, sono venuti in America dall'Ungheria come il mio personaggio, anche lui è un immigrato ungherese… tutta la loro lotta, le difficoltà che hanno passato…". Ospite di Fabio Fazio a Che Tempo che fa il 2 febbraio in collegamento da Los Angeles, Brody ha raccontato un aneddoto delle riprese italiane: "Mi piace da morire l'Italia, trovo sempre qualsiasi scusa per venire qui, ci vengo parecchie volte l'anno. Non solo ero già stato a Carrara, ma ho degli amici a Pietrasanta e in tutta la zona, che mi piace da morire. Il regista non riusciva a trovare la cava giusta per le riprese, allora gli ho mandato un messaggio e gli ho detto: 'Non ti preoccupare', ho chiamato il mio amico Gualtiero, la cui famiglia è proprietaria della cava che vedremo al cinema e in due ore mi ha rimandato indietro una foto di lui e Gualtiero che bevevano un bicchiere di vino". Frase cult del film la risposta che dà László a chi gli chiede perché ha scelto di fare l'architetto: "Risponderei così: quanto è meno difficile fare un cubo piuttosto che spiegare cosa sia? Qui tutta la differenza".

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