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Assedio, morte, paura e umanità a Mariupol

Assedio, morte, paura e umanità a Mariupol

Al Sundance debutta docu su guerra Ucraina, 20 Days in Mariupol

ROMA, 22 gennaio 2023, 19:44

di Francesca Pierleoni

ANSACheck

Daily life in Mariupol © ANSA/EPA

Daily life in Mariupol © ANSA/EPA
Daily life in Mariupol © ANSA/EPA

La veduta da una finestra di Mariupol bombardata con sullo sfondo un fumo nero che si alza dalle macerie, e una voce al telefono che comunica l'arrivo di carri armati con sopra la lettera Z. Appare poco dopo nell'inquadratura uno dei mezzi pesanti: "E' la prima volta che ho visto quella Z, il segno russo di guerra". Così il giornalista, fotografo, videoreporter e cineasta ucraino Mstyslav Chernov, corrispondente della AP, apre '20 Days in Mariupol', il suo documentario che debutta in prima mondiale nella sezione competitiva World Cinema Documentary al Sundance Film Festival. "Negli ultimi anni ho coperto i conflitti in Iraq, Siria, Afghanistan Libia - spiega il regista parlando del documentario -. Questa è una storia personale, non solo perché è raccontata dalla prospettiva di un giornalista, ma perché c'è la quella di una comunità, la nostra gente". Il film non fiction (realizzato da AP e Frontline) racconta i primi 20 giorni di assedio di Mariupol, la città ucraina, caduta dopo 86 giorni di resistenza e almeno 25 mila morti. Un racconto, scandito dalle diverse giornate, che parte il 24 febbraio 2022, quando Chernov con la sua squadra, composta da Evgeniy Maloletka e Vasilisa Stepanenko, nel giorno dell'inizio del conflitto, decide di andare a Mariupol, "grande porto, città industriale e ponte verso la Crimea" considerata uno degli obiettivi più probabili. "La città sembra normale - dice Chernov nel film arrivando in auto - qualcuno mi ha detto che le guerre non iniziano con le esplosioni ma con il silenzio". Una calma apparente cancellata dai primi bombardamenti anche sulle zone residenziali, il terrore che si diffonde nella popolazione, l'incertezza su quanto sarebbe accaduto. "Non voglio morire" dice una bambina piangendo, mentre aspetta in una cantina che finisca un attacco -. Stamattina mi hanno svegliato le bombe". Dopo i primi giorni e l'offensiva russa sempre più feroce, i giornalisti internazionali lasciano la città, mentre Chernov con la sua squadra decide di restare per testimoniare quella tragedia: "Se un giorno mia figlia mi chiedesse 'cosa hai fatto per fermare questa follia' - spiega - voglio essere capace di dare una risposta". Un compito, quello di raccontare, che diventa sempre più difficile e doloroso, soprattutto avendo scelto come 'base' un ospedale, con sempre meno scorte e sempre più popolato di sopravvissuti, persone rimaste senza casa e vittime: da Ilya, 16 anni, colpito a morte mentre giocava a pallone nel cortile della sua scuola, a Kyrill, 18 mesi, che i genitori si vedono morire davanti. Giornate di paura e disperazione, in una città sempre più devastata e spettrale, tra chi riesce a fuggire, chi dedica le giornate a togliere dalle strade i morti per dargli almeno una sepoltura nelle fosse comuni e anche chi inizia a saccheggiare i negozi chiusi. "La guerra è come i raggi X, mostra tutto quello che c'è dentro un uomo. Le persone buon diventano migliori, quelle cattive peggiori" spiega Chernov, che fatica sempre più a trovare il modo di inviare i suoi filmati all'agenzia (la città quasi subito resta senza elettricità e connessione web, ndr). Quando ci riesce, li vede sempre più spesso bollati come fake news dai media russi. Tra le immagini attaccate ce n'è una di quelle diventate simbolo di questa guerra: una donna incinta, agli ultimi mesi di gravidanza, gravemente ferita e portata via in barella da un ospedale pediatrico appena bombardato. Chernov decide di andarla a cercare per scoprire cosa le sia successo, ma non c'è lieto fine: la donna si chiamava Irina, aveva 30 anni e i medici non sono riusciti a salvare né lei ne' il bambino. Morte e vita però si accavallano, con la nascita proprio in quei momenti nell'ospedale di una bambina da una donna scampata ai bombardamenti. "Queste immagini non erano nate per essere un film - spiega il regista - non è stato facile assistere a certi fatti e ora non sono facili da guardare, ma penso sia importante. Spero restino nella vostra memoria come un avvertimento, un ricordo, un tributo a chiunque ha perso la vita in questa guerra".

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