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Billie Holiday, un'icona che ha sfidato il razzismo

Cinema

Billie Holiday, un'icona che ha sfidato il razzismo

Andra Day nominata ai Golden Globe per il film di Lee Daniels

ROMA, 07 febbraio 2021, 12:24

di Francesca Pierleoni

ANSACheck

The United States vs Billie Holiday - RIPRODUZIONE RISERVATA

The United States vs Billie Holiday - RIPRODUZIONE RISERVATA
The United States vs Billie Holiday - RIPRODUZIONE RISERVATA

Icona del blues dalla vita tormentata, iniziata con un'infanzia traumatica dovuta a una madre che l'ha costretta a prostituirsi a 11 anni. Vittima dell'abuso di alcool e stupefacenti. Donna forte, generosa e libera, anche nella sua sessualità. Paladina ante litteram dei diritti civili e bersaglio del governo americano e dell'Fbi di Hoover: una persecuzione che ha contribuito anche alla morte prematura della cantante, nel 1959, a soli 44 anni. Un vortice di contraddizioni, arte, tragedia e coraggio, che prende forma in The United States vs Billie Holiday di Lee Daniels, con una straordinaria Andra Day (cantautrice di classe, qui al suo debutto da protagonista) nel ruolo della grande artista afroamericana.

Il film, in arrivo negli Stati Uniti su Hulu il 26 febbraio, ha appena conquistato due nomination ai Golden Globe: come miglior attrice in un film drammatico per Andra Day (data fra le favorite anche per la candidatura agli Oscar) che torna in gara anche nella cinquina della miglior canzone, Tigress and Tweed, da lei interpretata e scritta con Raphael Saadiq. "Sono fan di Billie Holiday da quando avevo 11-12 anni - ha spiegato Andra Day, classe 1984, nell'incontro online con Lee Daniels organizzato dall'American Cinemateque -, mi ha colpito subito la sua voce, così diversa da quelle squillanti a cui ero abituata. Era una voce unica di cui era fiera e negli anni il suo esempio mi ha incoraggiato a essere fiera della mia voce e individualità, mi ha insegnato a usare il potere dell'arte con cura e saggezza". Il legame di Lee Daniels, regista di film come Precious e The Butler, con Billie Holiday era già passato per il cinema: "La signora del blues (diretto da Sidney J. Furie nel 1972, con Diana Ross nel ruolo della protagonista) è il film che mi ha spinto a diventare regista. L'ho visto a 13 anni e mi ha travolto. Era la prima volta che vedevo una storia d'amore black, un racconto così intenso e profondo in luoghi e con una musica che mi appartenevano e interpreti come Diana Ross, Billy Dee Williams e Richard Pryor. Volevo che con i miei film si sentisse come mi sono sentito io dopo aver visto quello" spiega. Quarant'anni dopo "mi arriva questo bellissimo script su Billie Holiday e mi rendo conto di quanto non sapessi delle sue lotte. Quando pensiamo al movimento dei diritti civili, vengono subito in mente nomi come Martin Luther King, Malcolm X, Gandhi, Rosa Parks. Secondo me Billie Holiday ha dato impulso a quel movimento, con la sua canzone Strange Fruit (uno dei suoi brani simbolo, nel quale si parla del linciaggio di un uomo di colore, lo 'strano frutto' appeso all'albero) ed è un fatto che non si trova nei libri di storia. Poi anch'io ho lottato contro le mie dipendenze e come artista comprendo il percorso di Billie, sentivo di doverle rendere giustizia".

Il film segue la cantante principalmente nei 12 anni finali della sua vita (con flashback sul suo passato), quando l'Fbi, e uno dei suoi emissari di punta, Harry J. Anslinger (Garrett Hedlund), per stroncare la carriera dell'artista, che continuava a cantare nei suoi concerti Strange Fruit, la rende bersaglio di un controllo costante al limite della persecuzione. A causa della dipendenza di Billie dall'eroina, incontri sbagliati, problemi personali e professionali e a volte l'utilizzo da parte delle autorità di prove false, la donna finisce più volte in arresto (nel 1947 sconta anche un anno di prigione), ma per quanto sempre più minata nel fisico, fino alla fine, non si arrende.

"Sapevo che il governo avesse dato la caccia a Billie Holiday, ma non sapevo fino a che punto si fosse spinto - sottolinea Andra Day, che per il ruolo è dimagrita di 17 chili e ha reinterpretato tutti i brani -. L'unico modo che avevano di portare avanti quel sistema di oppressione era schiacciare la verità, quella che Billie cantava. Mi ha stupito la sua forza nel combattere da sola, la sua resilienza, il suo potere interiore. La considero realmente la madrina della lotta per i diritti civili". In lei "c'erano il desiderio di essere ascoltata e al tempo stesso una grande vulnerabilità. Essendo una donna nera che vive negli Stati Uniti, conosco quella solitudine e quel sentirsi invisibile".

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