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Addio a Cecilia Mangini, pioniera del cinema documentario

Cinema

Addio a Cecilia Mangini, pioniera del cinema documentario

93 anni,tra le sue opere All'Armi Siam Fascisti! e Essere Donne

ROMA, 22 gennaio 2021, 10:16

di Giorgio Gosetti

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Addio a Cecilia Mangini, pioniera del cinema documentario - RIPRODUZIONE RISERVATA

Addio a Cecilia Mangini, pioniera del cinema documentario - RIPRODUZIONE RISERVATA
Addio a Cecilia Mangini, pioniera del cinema documentario - RIPRODUZIONE RISERVATA

Se ne va quasi 94 anni (era nata a Mola di Bari nel 1927) la "donna di ferro" del documentario italiano, Cecilia Mangini, formidabile fotografa, inesauribile anima del dibattito culturale. Piccola, ironica, fragile all'apparenza appena ieri, bella e solare nelle foto della sua giovinezza, Cecilia è stata una vera pila elettrica nel suo instancabile spirito combattivo che l'ha vista in prima fila durante mille battaglie, ma sempre col tratto gentile del suo animo femminile e con una libertà di pensiero ancor oggi difficilmente imitabile. Inutile cercarne tracce biografiche sui motori di ricerca della rete: anche qui la sua naturale ritrosia pone un freno alla popolarità. Eppure per tutto il mondo del documentario, della fotografia, delle associazioni dei cineasti Cecilia Mangini rimane un mito e un riferimento essenziale.

Prima donna a girare documentari nel dopoguerra, sceneggiatrice di alcuni lungometraggi e di più di quaranta cortometraggi, in gran parte realizzati insieme al marito Lino Del Fra, ha esplorato con la sua macchina da presa l'Italia dalla fine degli anni Cinquanta fino ai primi anni Settanta, spesso volgendo lo sguardo al Sud Italia e alla Puglia, per cercare i rituali di una cultura antica che scompariva travolta dalle veloci trasformazioni imposte dal boom economico. I suoi compagni di viaggio, oltre al marito, sono il grande antropologo Ernesto de Martino, Pier Paolo Pasolini a cui chiede il testo di "Stendalì - Suonano ancora" (1960) girato a Martano, un piccolo paese di lingua grika del Salento. Quelle immagini rimangono l'unica testimonianza filmata del pianto funebre, un rito antico praticato da tre millenni, ma destinato a scomparire nel volgere di pochi anni. Due anni dopo Pasolini è ancora al suo fianco per "La canta delle marane", 1962, che porta il suo obiettivo nel cuore delle periferie romane. Nel frattempo ha scritto con Del Fra il lungometraggio "All'armi siam fascisti!" che porterà anche la sua firma da regista insieme a quella del critico cinematografico Lino Miccichè. Si ripeterà per il copione di "La torta in cielo" (Lino Dal Fra) e "La villeggiatura" (Marco Leto). La passione per il cinema, della documentazione in diretta sulla realtà finiranno per avere la meglio anche sulla sua attività di fotografa. Molti di questi preziosi materiali, messi da parte anche perché nel frattempo è diventata madre negli anni '60, torneranno alla luce molto più tardi, come nel caso della documentazione (immagini e filmati) che realizza durante la guerra del Vietnam e che monterà più di recente in "Le Vietnam sera libre" del 2018 in coregia con Paolo Pisanelli.

Dagli anni '60 la fotografia diviene per Cecilia uno strumento di indagine e di attività al servizio del suo lavoro cinematografico. Indimenticabili i suoi ritratti ai volti i più grandi del XX secolo: Elsa Morante, Curzio Malaparte, Federico Fellini, Charlie Chaplin, John Huston, Vasco Pratolini e molti altri. Fuori dalla cerchia degli appassionati la sua popolarità arriva tardi, ma per tutti gli ultimi anni del Novecento continua, instancabile, tra convegni, incontri, iniziative collettive. Nel 2009 a Firenze le verrà assegnata la Medaglia del Presidente della Repubblica, "per aver trasmesso alle generazioni future, attraverso la sua attività di cineasta documentarista, alcune delle più belle immagini dell'Italia degli anni '50 e '60". Dal 2013 torna in piena attività come regista grazie alla collaborazione con Mariangela Barbanente ("In viaggio con Cecilia") e ancora fino all'ultimo con Paolo Pisanelli (l'ancora inedito "Il mondo a scatti").

Le sue mostre fotografiche, i premi, le celebrazioni che si sono succedute incessanti nell'ultimo decennio non sono per Cecilia altrettante medaglie tardive: le appaiono come l'eredità che lascia al mondo come testimonianza quotidiana di un passato da ricordare, una radice culturale di cui l'Italia di oggi non può fare a meno. Per questo opere come "La passione del grano", Domani vincerò", "Grazia Deledda la rivoluzionaria" - pescando qua e là nella sua produzione di oltre 40 titoli, tutti illuminati da una coerenza della visione e da una ricerca ossessiva della verità delle immagini - restano ancora adesso attualissime e la portano tra i protagonisti assoluti del cinema italiano.

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