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I Dardenne, se il fondamentalista è un ragazzino

Da una storia minima racconto del fanatismo giovani generazioni

CANNES - Mettendo insieme un film dopo l'altro si compone al festival di Cannes un puzzle che racconta, con diverse angolazioni, la società contemporanea. Un'anima politica, si è detto alla vigilia, anti-Trump aveva azzardato qualche osservatore, e forse è esagerato. Ma al di là di improbabili disegni strategici, il palcoscenico privilegiato di Cannes offre con la lente deformante di ciascun regista un bel colpo d'occhio su chi siamo o siamo diventati. Come il cinema degli anni '60 riuscì a catturare il radicalismo sociale dell'epoca, i registi di oggi stanno cercando di dare forma ad un nuovo tipo di rabbia e, sarà un caso, sono tra le cose migliori viste quest'anno.

Lo fa l'anziano Ken Loach, capace con il potente Sorry we missed you di intercettare guasti sociali e drammi familiari dell'epoca del lavoro precario, dei driver del delivery, lo fa il giovane francese di origine malese Ladj Ly nel tuffo nella realtà e nelle contraddizioni del melting pop delle banlieue dove i poliziotti sono brutali persino con i ragazzini in Les Miserables e lo fanno I fratelli belgi Dardenne con Le jeune Ahmed. Jean-Pierre e Luc Dardenne, registi record di due Palme d'oro vinte a Cannes (Rosetta, 1999, L'Enfant - Una storia d'amore, 2005) portano oggi in gara al festival la storia del crescente radicalismo delle nuove generazioni immigrate, assolutamente integrate ma al tempo stesso affascinate dalla Jihad, dal martirio. Le jeune Ahmed (in Italia uscirà con Bim nella prossima stagione) è il riuscito racconto, con lo stile realistico e documentaristico dei Dardenne che inchioda lo spettatore a seguire con lo stesso passo della macchina da presa, di cosa accade al tredicenne Ahmed (Idir Ben Addi) in un paese del Belgio ai giorni nostri.

E' bravo a scuola, viene da una famiglia di origini arabe senza particolari disagi, ha un aspetto mite e gli occhialoni da miope, ma improvvisamente passa dai videogiochi come i ragazzini della sua età alle abluzioni, letture delle sure del Corano, preghiere rivolte alla Mecca. L'avvicinamento alla religione è repentino, sull'onda del fascino di un cugino fondamentalista raffigurato con la solita immaginetta imbottito di armi prima del martirio. Ahmed di colpo divide il suo mondo in puro e impuro, la sorella con la maglietta corta è impura, la madre che beve un bicchiere di vino è impura, la professoressa, che pure lo ha aiutato nei suoi problemi con la dislessia, merita di essere uccisa perché osa insegnare l'arabo mettendo il corano in versi musicali. L'imam locale sprona Ahmed a diventare grande nel segno di Allah e semina così giorno dopo giorno il radicalismo. La strada è tracciata, per la violenza contro la docente finisce in un centro di rieducazione.

La storia che ci raccontano i Dardenne è la storia di una sconfitta politica e sociale: Ahmed non è abbandonato al suo destino, è circondato dall'amore della famiglia, dall'impegno degli educatori, della psicologa, del giudice, ma tutto questo non mette che un minimo dubbio in lui. Neanche l'amore di una ragazzina può fargli cambiare idea. Abbiamo perso per sempre il determinato Ahmed e i ragazzini delle nuove generazioni improvvisamente fondamentalisti come lui, pronti ad essere reclutati? "Quando abbiamo iniziato a scrivere, non immaginavamo che avremmo progressivamente creato un personaggio così chiuso in se stesso e imperscrutabile, capace di sfuggirci fino a tal punto, di lasciarci privi della possibilità di costruire una struttura drammatica per recuperarlo, per farlo uscire dalla sua follia omicida", dicono i registi. "Come arrestare l'impetuosa corsa di questo giovane fanatico, impermeabile alla bontà e alla gentilezza dei suoi educatori, all'amicizia e ai giochi romantici della giovane Louise? Come riuscire a immortalarlo in un istante in cui, senza ricorrere all'angelicità e alla inverosimiglianza di un lieto fine, potrebbe aprirsi alla vita e convertirsi all'impurezza fino a quel momento abborrita?" è alla fine la domanda.

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