La visione violenta e sensuale che
del mito biblico di Giuditta Caravaggio ha restituito in un
dipinto entrato per la sua forza dirompente nell'immaginario
collettivo, accanto all'interpretazione tutta femminile di
quello stesso tema offerta da un'artista tenace, coraggiosa e
appassionata come Artemisia Gentileschi: si gioca tutto sulla
potenza drammatica l'incontro tra i due celebri artisti a
Palazzo Barberini di Roma, nella mostra "Caravaggio e Artemisia:
la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra
Cinquecento e Seicento", allestita dal 26 novembre al 27 marzo
2022. A cura di Maria Cristina Terzaghi, l'esposizione si
sviluppa attorno alla celeberrima tela caravaggesca "Giuditta
che decapita Oloferne" - a 70 anni dalla sua riscoperta,
avvenuta nel 1951 grazie al restauratore Pico Cellini, e a 50
dall'acquisizione da parte dello Stato - per indagarne la
fortuna e la capacità di rappresentare nella storia della
pittura un punto di rottura proprio per la sua rivoluzionaria
composizione, divenuta un modello a cui in tanti si sono
ispirati. Sono 31 le tele esposte in un percorso denso,
articolato in 4 sezioni, che racconta le tante interpretazioni
del tema di Giuditta tra il XVI e il XVII secolo: dapprima il
contesto cinquecentesco a evidenziare i primi tentativi di una
nuova rappresentazione, poi l'impatto deflagrante della tela di
Caravaggio, in cui per la prima volta centrale è la veemenza del
delitto e il momento culminante dell'emozione. Nella terza
sezione compare invece Artemisia Gentileschi, massima interprete
del mito di Giuditta, che più volte insieme al padre Orazio si
misura con questo soggetto: la pittrice sceglie di immedesimarsi
nell'eroina biblica e coglie la possibilità di veicolare il
messaggio di una donna forte, esempio di virtù. Infine, la
quarta sala, dedicata al confronto tra il tema di Giuditta e
Oloferne e quello di Davide e Golia.
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