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Palmira: parla l'archeologa italiana, paura per colleghi

Palmira: parla l'archeologa italiana, paura per colleghi

Maria Teresa Grassi, nessuna recinzione, patrimonio a mercé Isis

23 maggio 2015, 16:16

Silvia Lambertucci

ANSACheck

Palmira © Joel Carillet iStock. IN VIAGGIO - RIPRODUZIONE RISERVATA

Palmira © Joel Carillet iStock. IN VIAGGIO - RIPRODUZIONE RISERVATA
Palmira © Joel Carillet iStock. IN VIAGGIO - RIPRODUZIONE RISERVATA

Tra le cose più caratteristiche ci sono i rilievi funerari, "Quelli che chiudevano i singoli loculi nelle grandi tombe collettive di Palmira". Ma anche gli "strepitosi stucchi, il grande mosaico con il mito di Cassiopea che la missione archeologica francese aveva recuperato all'inizio del Novecento da una abitazione, l'eccezionale statua in marmo di Atena Allath ritrovata dalla missione polacca, una bella collezione di vetri... Senza contare sarcofagi all'esterno, i tanti cippi conservati nel giardino, il grande leone che azzanna la gazzella...". Raggiunta al telefono dall'ANSA, Maria Teresa Grassi, ultima archeologa italiana ad aver lavorato a Palmira, dove fino al 2010 guidava la missione dell'Università di Milano, è affranta.

"La notizia che l'Isis è da ieri all'interno del museo è terribile - dice - sono preoccupatissima, anche per la sorte del personale che fino a qualche giorno fa presidiava quotidianamente il grande sito archeologico e il museo". L'ultimo contatto, racconta, è stato un whats app di qualche giorno fa.

"Ho scritto spiegando che ero preoccupata perché sentivo cattive notizie su Palmira, la risposta mi ha gelata, il messaggio diceva solo 'molto cattive'". E quindi in queste ore, spiega, l'angoscia è tanta, per le persone e per le cose. Certo, i reperti più piccoli e mobili del museo dovrebbero essere stati già rimossi da tempo e portati in luogo sicuro, "io però mi auguro che un posto sicuro esista ancora in Siria", sottolinea la studiosa, "non credo proprio sia facile". Inaugurato nel 1961, il museo di Palmira, racconta l'archeologa, è per i suoi contenuti un piccolo gioiello, "una costruzione in cemento, a forma di cubo, forse di 30 metri per 15, allestito vicino alle mura", spiega, al cui interno facevano bella mostra di sé molti reperti raccolti nel grande sito archeologico a cielo aperto, che occupa un'area vastissima e non recintata in quella che era un tempo la confluenza delle grandi carovane.

"I rilievi funerari, in particolare, erano moltissimi - racconta - alcuni addirittura murati nel museo, e quindi è difficile che possano essere stati messi in salvo. Bellissimi erano poi gli stucchi decorati a rilievo, recuperati vicino alla fonte Esqa e che sono stati esposti in tante mostre in giro per il mondo". Ma anche la statua in marmo di Atena, una grande rarità perché a Palmira le statue sono tutte in pietra calcarea. Poi c'è la ricca collezione di vetri. E i grandi reperti appoggiati all'esterno del fabbricato, "in particolare sarcofagi".

"Ho paura che tanto verrà distrutto e tanti saccheggiato e messo sul mercato per autofinanziare l'Isis", continua Grassi. Il grande sito di Palmira, dalla parte con gli edifici monumentali alla strepitosa valle delle tombe, era in tempi migliori "molto ben custodito" ma comunque non recintato "perché di fatto è impossibile", spiega ancora l'archeologa. Un tesoro quindi completamente aperto , e oggi alla mercé dell'Isis. "Ho paura, perché Palmira fa notizia, oggi era sulle prime pagine di tutti i giornali, da quello della parrocchia al New York Times... spero di sbagliarmi, ma temo tanto che altre cattive notizie arrivino ancora".

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