(di Francesca Pierleoni)
Non fare "film politici", ma
tornare al senso originale del cinema, "che spesso si dimentica,
documentare la realtà". È questo il significato che il regista
cinese Wang Bing, Pardo d'oro nel 2017 al Locarno Film Festival
con Mrs Fang, dà al suo rigoroso lavoro ventennale da
documentarista. Un impegno per il quale su ogni progetto spende
anche degli anni. È successo lo stesso per la sua trilogia fiume
Youth, dedicata a raccontare la vita (le riprese sono durate dal
2014 al 2019) di un gruppo di giovani che, in cerca di un futuro
migliore, hanno lasciato la campagna per andare a lavorare nel
settore tessile a Zhili, una cittadina a circa 150 chilometri da
Shanghai.
Un pezzo di vita fra turni in laboratorio, vita nei
dormitori, drammi e gioie personali, amori e violenze. Il primo
capitolo Youth (Spring) ha debuttato in gara a Cannes nel 2023.
Arriva a Locarno in gara il secondo, Youth (Hard Times) e sarà
in concorso alla prossima Mostra del Cinema di Venezia il terzo
e ultimo Youth (Homecoming). I suoi film, ricorda Wang Bing, non
sono mai passati nel processo di approvazione che c'è in Cina
"perché la politica non mi interessa", spiega in conferenza
stampa a Locarno. Il cineasta vuole invece "cercare di far
vedere la realtà della vita e i sentimenti delle persone". Anche
se le limitazioni che impone la politica, hanno, per lui, un
impatto sul cinema come su ogni altro aspetto: "Rendono più
difficile comunicare le proprie emozioni, ed esprimere il
proprio mondo interiore. Si spezza così il legame con noi stessi
e con gli altri. Il risultato è che ognuno è più isolato".
In Youth (Hard Times), come suggerisce il titolo, ritroviamo
i giovani protagonisti affrontare momenti particolarmente
difficili e la necessità di fare scelte importanti, tra crisi di
alcuni laboratori, ingiustizie e prevaricazioni. "Ho capito
subito che serviva tempo per questo progetto. E alla fine,
valutando con i produttori il formato più giusto per distribuire
la storia, abbiamo pensato alla trilogia". Per il regista, che
ha potuto girare liberamente, purché le riprese non
ostacolassero il lavoro degli operai, l'utilizzo del digitale
"ha permesso che potessi avvicinarmi il più possibile, anche
umanamente, alle persone. Questa è la cosa più importante per
me, e ciò in cui ho messo tutto il mio impegno in questi 20
anni". Non pensa mai invece "a come un mio film possa essere
interpretato dagli spettatori". In questo caso poi, "mi sento
ancora più vicino ai protagonisti, perché conosco bene quel tipo
di scelta. Anch'io, come loro, vengo da una piccola realtà e
sono andato a vivere in città".
Come autore "il significato principale che dò al mio lavoro è
utilizzarlo per condividere con il mondo la vita di chi
racconto, per me il cinema è una forma di memoria", spiega, "una
forma di relazione fra le mia storia e quella degli altri". Con
le persone che riprendo "resto occasionalmente in contatto. In
questo caso, ho mandato ai ragazzi un link del primo film per
farglielo vedere, ma la maggior parte di chi riprendo non reputa
una cosa speciale essere in un documentario, hanno accettato
soprattutto perché pensavano che essere ripreso fosse
divertente. Non immaginano quante persone conosceranno la loro
storie all'esterno della Cina".
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