"Io ho solo la mia parola, è
l'unica cosa che ho. Sarà anche per questo che sono in galera da
cinquant'anni, c'ho tutta una serie di princìpi miei che non
riesco a non seguire, a costo di rimetterci le corna". E' un
Renato Vallanzasca che va oltre il mito del bel René, del boss
della Comasina, quello che si racconta a Micaela Palmieri nella
biografia "Malanotte. Rimpiango quasi tutto", uscita per
Baldini+Castoldi a fine agosto, poco prima della decisione dei
giudici del Tribunale di Sorveglianza di Milano - arrivata ieri
- di farlo uscire dal carcere, dopo 52 anni di detenzione, per
essere curato in una struttura assistenziale.
Insieme alla giornalista e scrittrice, il 'Dillinger della
comasina' ripercorre la storia della sua vita, dalle
rocambolesche fughe, alle sparatorie, dai rapimenti alle donne
che hanno perso la testa per lui, ma in altre pagine a farsi
protagonista è il monologo dal carcere del detenuto
Vallanzasca. "Io ho fatto una miriade di casini ma sono loro -
si legge nel bel libro, nato da una lunga serie di conversazioni
tra l'ex bandito e la giornalista - che la vita me l'hanno
rubata. Ed è singolare perché ero io, il bandito. Ero io che
rapinavo le banche. Loro avrebbero dovuto rieducarmi. Mi vien da
ridere quando sento parlare di giustizia riparativa.
Che cazzo avete riparato? Gli errori si pagano, lo so anche
troppo bene. Ma una volta che hai saldato il debito che hai con
la giustizia - e il momento arriva per tutti, per quasi tutti -
bisogna mettere un punto. Magari merito di morire in galera da
confinato. Ma allo Stato chiedo delle regole".
"Io ho vissuto da matto, da incosciente. - racconta l'oggi
74enne ex boss della 'batteria' che imperversava a Milano negli
anni '70-'80 -. Lo sapevo e mi divertivo. A un bel momento sono
stato anche travolto dagli eventi che mi hanno investito come
una valanga e non sono più riuscito a fermarmi. Ho ucciso,
rapinato e rapito. Non ho mai premeditato niente, ho sempre
agito d'impulso, anche troppo, forse. Mi sono preso la
responsabilità per i reati di altri perché comunque c'ero di
mezzo io e mi sembrava giusto avere le palle di non tirarsi
indietro. Sarebbe troppo comodo adesso parlare di rimpianti. Se
potessi ricominciare, farei tutto in modo diverso ma questo è un
altro discorso. Ed è inutile farlo. La verità è che ora voglio
solo vivere tranquillo. La verità è che non sono più quel
ragazzo, mi sembra un altro secolo".
Al centro dei suoi pensieri, un unico desiderio, ora
finalmente realizzato in parte, dopo oltre mezzo secolo di
detenzione: "Vorrei uscire di galera e vivere quello che mi
resta magari in una baita di montagna, senza chiedere permesso
anche solo per poter andare al cesso". Con una conclusione
amarissima: "Il carcere non mi ha insegnato niente".
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