"Venivo chiamato spesso come
commissario ai concorsi perché avevo fama di essere imparziale"
e lontano dal fare alcun "favoritismo in quanto non avevo
parenti in università. Nessun professore universitario tra me e
Adamo ed Eva!". Massimo Galli, l'infettivologo di fama
internazionale e fino a due anni fa docente alla Statale di
Milano, ha riposto così alla prima domanda posta in aula nel
corso del suo interrogatorio reso nell'ambito del processo con
al centro uno dei filoni di indagine su presunti concorsi
pilotati alla facoltà di medicina.
Galli, che è stato anche uno dei massimi esperti in prima
linea durante la pandemia, per un paio di ore ha chiarito,
replicando alle ipotesi dell'accusa, come si è svolto il
concorso che nell'aprile 2020, in piena emergenza Coronavirus,
ha portato Agostino Riva, allora suo stretto collaboratore e ora
suo coimputato, a ottenere il posto di professore di seconda
fascia in malattie cutanee, infettive e dell'apparato digerente.
Oltre a precisare che "stava nella logica delle cose che Riva
si presentasse al quel concorso", ha spiegato i motivi per cui
anche l'infettivologo del Niguarda Massimo Puoti, avesse fatto
domanda giunta inaspettatamente anche perché "si sapeva che era
interessato al concorso di Napoli". Inoltre, replicando al pm
Carlo Scalas che gli ha chiesto ragione di alcune telefonate, ha
in sostanza negato qualsiasi ipotesi di una sua volontà di
precostituire i criteri del bando.
Galli, replicando al pm, oltre a dire che "in genere questi
concorsi vengono indetti nel rispetto dello sviluppo accademico,
in cui ognuno porta avanti la sua scuola" e che in una "comunità
di poche persone era normale conoscere bene entrambi i
candidati", ha affermato "di aver sempre evitato che si
potessero verificare scontri nella disciplina".
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