"A loro del Genoa non è mai
interessato nulla. Perseguono solo il loro interesse personale.
Usavano il loro potere per ottenere maggiori benefici e denaro
cavalcando le difficoltà della squadra. Ma io non ho mai avuto
paura, nessun timore reverenziale". Lo ha detto in aula l'ex
patron del Genova Enrico Preziosi, sentito come testimone nel
processo a carico di 15 ultrà sulle presunte estorsioni al club
in cambio della cosiddetta pace del tifo. Preziosi è stato tra i
pochi a rompere il muro di "non ricordo" sentito finora da parte
degli altri testimoni.
"Io vivo a Milano, dopo la partita me ne tornavo a casa e non
me ne frega nulla della piazza. Zarbano (l'ex amministratore
delegato, ndr) invece sta a Genova e ha paura". Preziosi,
arrivato in aula accompagnato dal suo avvocato Maurizio Mascia,
ha spiegato di non avere mai dato soldi. "Era Zarbano a
occuparsi delle cose operative. Io mi fidavo di lui pienamente e
aveva totale autonomia". Anzi, "mi sono anche arrabbiato quando
ho saputo della Sicurart, del pagamento che era stato fatto".
L'ex presidente ha detto che Massimo "Leopizzi era il
burattinaio". Nel 2005 "mi invitarono in un ristorante e
volevano farmi dire che avevo venduto la partita col Venezia
perché così mi avrebbero potuto ricattare. Io non confessai
proprio niente perché non era vero e me ne andai. A
quell'incontro Leopizzi mi urlò che 'il Genoa era suo e decideva
lui. Gli risposi che se era così poteva iniziare a pagare gli
stipendi".
Infine ha ricordato un altro episodio del 2017. Massimo
Leopizzi e il presidente dei club genoani Davide Traverso (anche
lui imputato, ndr), si presentarono nel suo ufficio. "Mi dissero
che Milanetto aveva un debito di 200mila euro verso uno
straniero e che sarebbe stato meglio che quel debito fosse
saldato per evitare fatti spiacevoli". Secondo il patron del
Grifone quella vicenda era solo un pretesto per ottenere soldi".
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