I pedaggi autostradali pagati e non
investiti nelle manutenzioni avrebbero creato un danno di oltre
100 milioni di euro. E' quanto chiesto dagli utenti delle
autostrade del tronco genovese che questa mattina hanno chiesto
di costituirsi nell'udienza preliminare per il filone
dell'inchiesta bis nato dopo il crollo del ponte Morandi.
Sono 47 le persone imputate, tra cui ex vertici di Autostrade
e Spea, per i mancati controlli su ponti e gallerie, per i
presunti report falsi, le barriere antirumore pericolose e il
crollo di una parte del soffitto della galleria Berté in A26 (30
dicembre 2019).
La cifra è stata calcolata in base alla percentuale del
pedaggio pagato da circa 27 milioni di auto all'anno per sette
anni che avrebbe dovuto essere investito in manutenzioni da
parte di Aspi. Oggi sono stati una trentina i soggetti giuridici
che hanno chiesto di costituirsi parte civile. Tra gli enti ci
sono il Comune di Genova, di Cogoleto, Rossiglione, Campo Ligure
e Masone. E poi, il Comitato ricordi parenti vittime del ponte
Morandi (seguita dall'avvocato Raffaele Caruso), le associazioni
dei consumatori tra cui Assoutenti, rappresentata dall'avvocato
Luca Cesareo, che ha chiesto un indennizzo di oltre cinque
milioni di euro.
E ancora, la Cisl e la Uil, ma non la Cgil, la Cna Liguria
autotrasportatori e la Confederazione generale italiana dei
trasporti e della logistica, difesi dall'avvocato Carlo Golda, e
il comitato delle Barriere antirumore, che conta circa 100
famiglie che vivono vicino all'autostrada. Secondo gli
investigatori della Guardia di finanza, coordinati dai pm
Stefano Puppo e Walter Cotugno insieme all'aggiunto Francesco
Pinto, i tecnici di Spea ammorbidivano i rapporti sullo stato
dei ponti per evitare i lavori. Le accuse, a vario titolo, sono
falso, frode, attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo
colposo.
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