"Ho vissuto un martirio: ho fatto
finta di morire per avere una speranza di vita. E da lì mi sono
rimessa in piedi cercando di affrontare questa vita, questo
mondo e le leggi che hanno lasciato il mio aggressore
praticamente libero perchè da una pena di 21 anni e sceso a 4 di
domiciliari e con l'indulto neanche quelli. La cosa più assurda,
e qui mi preme dirlo, da 20 anni non ho più un posto di lavoro
con il mio corpo martoriato e le cicatrici sul viso. Mentre lui
l'aggressore è stato assunto in banca". Lo ha detto Barbara
Bartolotti, vittima venti anni fa di una pesante aggressione da
parte di un collega. Le sue parole durante l'audizione informale
in commissione Lavoro della Camera nell'ambito dell'esame delle
proposte di legge per favorire l'inserimento lavorativo delle
donne vittime di violenza.
All'epoca aveva 29 anni, madre di due figli e con un terzo in
arrivo, e lavorava in un'impresa edile. Il 20 dicembre del 2003
a Carini, in provincia di Palermo, il suo collega le diede
quattro martellate in testa, una coltellata all'addome, le versò
addosso una tanica di benzina e accese il fuoco con un accendino
"Perchè noi donne vittime - ha spiegato - non possiamo
riottenere quella dignità lavorativa che ci hanno tolto. È
assurdo che i nostri aggressori riescono ad avere un posto in
banca. Da 20 anni con la mia associazione 'Libera di vivere' che
si occupa di aiutare quelle donne e quei bambini in difficoltà
per ottenere tutto quello che non ho ottenuto io. Spero che
questa proposta abbia la sua funzionalità, porto la mia
testimonianza, il martirio che ho vissuto, nelle scuole, nelle
piazze, nelle chiese, nei circoli. Non mi sono mai fermata e
cerco sempre aiuto. Per una donna l'inserimento nel lavoro con
uno sfregio permanente come il mio, sul viso e sul corpo, credo
che sia legittimo. E spero con tutto il mio cuore, anche per
quei cuori che non battono più, di ottenere questa dignità
lavorativa, che mi hanno tolto, che ci hanno tolto e che questa
società possa cambiare".
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