Breve udienza tecnica stamani al
settimo piano del Palazzo di Giustizia milanese sul cosiddetto
'caso camici' che vede imputati il governatore lombardo Attilio
Fontana, il cognato Andrea Dini, titolare di Dama spa, l'ex dg
di Aria spa, centrale acquisti regionale, Filippo Bongiovanni,
la dirigente della società Carmen Schweigl e il vicesegretario
generale di Regione Lombardia Pier Attilio Superti.
Dopo che i pm Paolo Filippini e Carlo Scalas hanno apportato
piccole precisazioni nel campo di imputazione per frode in
pubbliche forniture, oggi ha discusso sul punto per una decina
di minuti la difesa di Dini, col legale Giuseppe Iannaccone.
L'udienza preliminare è stata rinviata a venerdì 13 maggio
quando il gup deciderà se mandare a processo o meno gli
imputati.
Secondo l'accusa, in base al contratto del 16 aprile 2020
Dama avrebbe dovuto fornire 75mila camici e altri 7mila set di
dpi per un importo di 513mila euro. Quando emerse il conflitto
di interessi (la moglie di Fontana aveva il 10% di Dama), gli
indagati avrebbero tentato "di simulare l'esistenza" dall'inizio
"di un contratto di donazione" per lo meno per i 50mila camici
già consegnati e la restante parte, 25mila 'pezzi', non arrivò
più ad Aria. Da qui l'accusa di frode in pubbliche forniture.
Nessun illecito né penale né civilistico, è la tesi dei
difensori del presidente lombardo, Jacopo Pensa e Federico Papa,
bensì una fornitura che si è trasformata in donazione e che ha
consentito a Regione Lombardia "di risparmiare 513 mila euro".
Riguardo al ritocco del capo di imputazione, Pensa aveva già
osservato che i pm "hanno fatto un altro autogol, perché se uno
continua a modificare vuol dire che fa fatica a crederci".
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