L'autobus che li sta portando in salvo è partito da Przemyśl, la prima città polacca al confine con l'Ucraina, considerata la porta della salvezza per chi fugge dalla guerra. A bordo del trasporto, organizzato dall'associazione Ucraina Più Milano e dalle agenzie di trasporto Luberti e Simon bus, ci sono 35 profughi ucraini. "Siamo riuscite a scappare dalla guerra - racconta Iuliana, che arriva da Dnipro, nell'Ucraina orientale -. Quando hanno iniziato a bombardare la paura è stata tanta. All'inizio le bombe sembravano distanti dalle nostre case e abbiamo voluto credere di essere almeno in parte al sicuro. Addirittura, quando sentivamo le prime sirene di allarme, non ci preoccupavamo di metterci al sicuro. Insomma, eravamo preoccupati ma non così impauriti. Quando abbiamo sentito cadere la prima bomba vicino a noi eravamo in un bunker. È stato drammatico, e tutto è cambiato in pochi secondi: ha iniziato a tremare tutto l'edificio. Da quel momento è cominciata la paura vera - continua la donna -.
Non abbiamo nemmeno fatto in tempo a uscire dal bunker che le sirene hanno ricominciato a suonare. È diventato un continuo.
Passavamo le giornate a entrare e uscire dal rifugio, con la paura che cresceva di ora in ora".
Sul bus anche Sergei che avrebbe dovuto essere al fronte. Non vuole dire la sua età ma ammette che rientra nella fascia richiamata alle armi. Non avrebbe potuto lasciare la città: la legge marziale in vigore in Ucraina non permette agli uomini tra i 18 e i 60 anni di lasciare il Paese perché potrebbero ancora combattere tra le fila dell'esercito. Ma lui è fuggito per poter salvare i suoi due figli. "Dopo che sarò riuscito a metterli al sicuro sceglierò cosa fare", dice Sergei, spiegando che quel 24 febbraio, quando è scoppiata la guerra, era in Egitto con i suoi due figli. Ad avvisarlo era stato il fratello, che lo aveva chiamato al telefono dicendo semplicemente: "È iniziata, è scoppiata". Sergei si è sentito fortunato perché ha capito che in quel momento trovarsi lontano dal suo Paese era un bene: "Ho capito che per salvare i miei figli dovevo rimanere fuori dai confini ucraini".
"Putin è fuori di testa", dice toccandosi la tempia con l'indice destro una signora di mezza età, anche lei sul bus. "E' un topo - continua -. Si è nascosto come fanno i roditori mentre fuori c'erano guerra e distruzione. Io non posso non pensare ai miei concittadini, che stanno morendo". E poi si rivolge direttamente al presidente russo: "Da cosa stai venendo a salvarci, da cosa?". Alla frontiera che divide Polonia e Ucraina i profughi hanno incrociato Leonid, 21 anni, studente universitario russo che fa il volontario alla dogana. A Medyka, così si chiama la cittadina di frontiera, un flusso continuo di profughi ucraini oltrepassa il cancello in ferro battuto per raggiungere la salvezza. Lì è dove le famiglie si separano: a fuggire sono principalmente donne e bambini mentre gli uomini devono restare nei confini ucraini per combattere. Un tema che Leonid conosce ormai bene perché lavora alla frontiera ogni giorno. "Se qualcuno pensa che le mie origini possano essere un ostacolo si sbaglia, conoscere il russo mi agevola nelle traduzioni - spiega -. C'è sempre qualcosa da fare, a volte i turni sono massacranti, ieri ho lavorato per 29 ore di fila. Ogni tanto bisogna fermarsi, andare nell'angolino e piangere un po' perché la situazione diventa troppo carica emotivamente, ma è anche molto appagante", conclude.
La madre e il disertore, sul bus verso la salvezza
Al confine un russo volontario, 'ogni tanto mi fermo e piango'
