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Ex Ilva, Cingolani: 'Aspettiamo sentenza del Consiglio di Stato'

'Se non si puo' andare avanti, fermo piano di risanamento'. Condannati manager ex Ilva e politici, confisca impianti

"Dobbiamo aspettare la sentenza che arriva del Consiglio di Stato e capire cosa succede. Io ho fatto un piano per togliere il carbone all'altoforno, elettrificarlo e passare subito al gas per abbattere la CO2 del 30%, sperando di essere velocissimi sull'ulteriore passaggio all'idrogeno. Se però non si potrà andare avanti, è ovvio che questa cosa la dovrò fermare". Lo ha detto il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, intervenendo a un webinar.

 Bonomi, costruire un progetto acciaio - "Dobbiamo farci una domanda, questo paese l'acciaio lo vuole o non lo vuole? Io credo sia importante e per questo dobbiamo costruire un progetto acciaio". Così il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha risposto a margine dell'inaugurazione dell'hub nella sede dell'associazione a Roma a chi gli chiedeva un commento dopo la sentenza del tribunale di Taranto sull'ex Ilva.

Landini: 'Sicurezza viene prima del profitto' - "Noi della Cgil ci siamo costituiti parte civile di questo processo, abbiamo sempre pensato che la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini venga prima del profitto e del mercato. E abbiamo sempre denunciato ciò che l'azienda dei Riva non aveva fatto, le responsabilità su troppi ritardi e furbizie". Così Maurizio Landini, leader della Cgil, in un'intervista a '30 minuti al Massimo' con il direttore della Stampa, Massimo Giannini, pubblicata sul quotidiano di oggi. "Al di là della sentenza - aggiunge - ora è importante accelerare tutti gli investimenti, per far sì che la nuova azienda, con la presenza dello Stato, sia in grado di produrre acciaio rispettando salute e ambiente". Mentre sul coinvolgimento delle parti sociali per il Piano di ripresa e resilienza Landini sottolinea: "Non ci soddisfa pienamente: va bene la cabina di regia alla presidenza del Consiglio, elemento centrale che governa il piano, ma noi abbiamo chiesto di coinvolgere le organizzazioni sindacali nel processo decisionale e sulla realizzazione delle riforme, nonché la possibilità di confronti permanenti con i singoli ministeri, per entrare nel merito dei progetti". Per Landini "non ci deve essere la preoccupazione che se arriva il sindacato poi non si risolvono problemi, si può fare presto e bene anche con il nostro contributo. Il lavoro deve tornare al centro, se non avviene si mobilita il Paese".

Dal 28/6 altra Cig per un massimo di 4mila operai - Acciaierie d'Italia ha comunicato alle organizzazioni sindacali e a Confindustria l'intenzione di ricorrere, dal 28 giugno e per un periodo presumibile di 12 settimane, alla Cassa integrazione ordinaria (Cigo) per un massimo di circa 4mila dipendenti (distinti tra quadri, impiegati e operai) dello stabilimento siderurgico di Taranto. L'azienda spiega, in una nota a firma del dirigente Arturo Ferrucci, che gli effetti dell'emergenza epidemiologica "continuano ad avere riflessi in termini di consolidamento degli ordinativi e stabilità dei volumi produttivi. Nonostante nel generale contesto di mercato siano oggi percepibili segnali ottimistici nella crescente e maggiormente stabile domanda di acciaio, la società non è nelle condizioni di assicurare la totale e immediata ripresa in esercizio di tutti gli impianti di produzione e di completo assorbimento della forza lavoro". Per diversi mesi l'azienda ha fatto ricorso alla cassa integrazione con causale Covid chiesta per un numero massimo di oltre 8100 dipendenti (l'intera forza lavoro ad eccezione della struttura dirigenziale) ma che in media non ha raramente superato le 3mila unità. Acciaierie d'Italia precisa ancora che "nel marzo del 2020, con l'inizio della pandemia Covid19, anche in accordo con le organizzazioni sindacali, ha dovuto fermare alcuni impianti di produzione. Per il sito di Taranto si è dovuto procedere alla fermata non programmata dell'Altoforno 2 che ha comportato la riduzione della capacità produttiva di ghisa di circa 5mila tonnellate al giorno". In seguito la società ha dovuto "riformulare - si evidenzia - i piani di intervento manutentivo sull'impianto Altoforno 4, non ulteriormente differibili per ragioni tecniche, tanto da prevederne l'esecuzione durante un periodo di circa 60 giorni nel periodo aprile-giugno 2021, con ulteriore 'mancata produzione' di circa 5mila tonnellate al giorno di ghisa". Per questo, nel sito di Taranto, la società - conclude Ferrucci - sarà interessata da una "sospensione e/o riduzione delle attività lavorative per il cui effetto richiede l'intervento della Cig ordinaria e le relative provvidenze".

Condannati manager ex Ilva e politici,confisca impianti - Fu disastro ambientale. Nella gestione dell'ex Ilva da parte della famiglia Riva, tra il 1995 e il 2012, lo stabilimento siderurgico di Taranto provocò un inquinamento che i pm hanno definito "devastante per la salute e per l'ambiente". La Corte d'Assise, dopo cinque anni di dibattimento e 11 giorni di camera di consiglio, ha emesso 26 condanne (tra dirigenti della fabbrica, manager e politici) per 270 anni di carcere e disposto sia la confisca degli impianti dell'area a caldo che la confisca per equivalente dell'illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici per una somma di 2,1 miliardi. La sentenza del processo di primo grado chiamato, non a caso, "Ambiente svenduto", è stata letta oggi nell'aula magna della Scuola Sottufficiali della Marina militare, mentre all'esterno della struttura - presidiata dalle forze dell'ordine - cittadini e ambientalisti manifestavano con megafoni e striscioni. Il dispositivo è di 83 pagine. Tra i principali imputati, spicca la condanna rispettivamente a 22 anni e 20 anni di reclusione per Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell'Ilva, che rispondevano di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Mano pesante anche per altri ex dirigenti. La Corte d'Assise (presidente Stefania D'Errico, a latere Fulvia Misserini) ha inflitto 21 anni e 6 mesi all'ex responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà, 21 anni all'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, pene comprese tra i 18 anni e mezzo e il 17 anni e 6 mesi di carcere a cinque ex fiduciari aziendali. Quasi tutti gli imputati hanno annunciato ricorso in appello. A tre anni e mezzo di reclusione (di 5 anni la richiesta dell'accusa) è stato condannato l'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola ("Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità", ha reagito) a cui viene contestata la concussione aggravata in concorso, in quanto, secondo la tesi degli inquirenti, avrebbe esercitato pressioni sull'allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato (condannato a 2 anni per favoreggiamento), per far "ammorbidire" la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall'Ilva. A 3 anni è stato condannato invece l'ex presidente della Provincia Gianni Florido, che risponde di concussione e tentata concussione, reati che avrebbe commesso in concorso con l'ex assessore provinciale all'ambiente Michele Conserva (anch'egli condannato a 3 anni) e con Archinà. Assolto l'ex sindaco di Taranto Ippazio Stefàno ("perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato"), a cui era contestato l'abuso d'ufficio. Il non doversi procedere per prescrizione del reato di favoreggiamento è stato dichiarato, tra gli altri, nei confronti dell'ex assessore regionale Nicola Fratoianni (attuale segretario di Sinistra Italiana) e dell'assessore regionale Donato Pentassuglia. Capitolo risarcimenti. La Corte ha stabilito una provvisionale esecutiva di 5mila euro ciascuno a favore di centinaia di cittadini (erano oltre mille le parti civili) e un risarcimento di 100mila euro per la Regione Puglia e il Comune di Taranto, 50mila euro per la Provincia di Taranto e per i Comuni di Statte, Montemesola e Crispiano, per l'Asl e Legambiente. Nei confronti del ministero dell'Ambiente e del ministero della Salute diversi imputati sono tenuti al "ripristino dell'integrità dell'ambiente inquinato" o al risarcimento dei danni da liquidarsi "in separata sede". "Rispettiamo la sentenza - afferma il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti -. Manca la pronuncia del Consiglio di Stato per avere il polso della situazione. A quel punto sarà possibile capire in che quadro giuridico lo Stato, in qualità di azionista, potrà operare. Servono certezze per dare una prospettiva di crescita e sviluppo a Ilva e all'acciaio in Italia". Per il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, "la giustizia ha finalmente fatto il suo corso. Gli impianti a ciclo integrato, che hanno determinato la morte di innumerevoli persone tra le quali tanti bambini, devono essere chiusi per sempre".

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