Testo di Alessandro Di Meo. Le immagini, prese da un drone, di Di Meo e Stefano Vitali
Il silenzio. La cosa che colpisce di più della Roma al tempo del Coronavirus è il silenzio.
Le città deserte sono lo specchio della battaglia in corso; l’atmosfera è spettrale ed è impossibile abituarsi questo scenario surreale, che è già storia.
In molti nei primi giorni di lockdown sono stati tentati di andare a vedere Roma deserta. Ma la realtà è che a girare per la città ci si sente soli; soli come Giordano Bruno a Campo de' Fiori, abituato da secoli ad essere circondato di vita, rumori, odori e oggi immobile in un silenzio irreale.
Se non fosse per le poche persone che ancora si incontrano in strada, ricordi lontani di un mondo che non c’è più, ci si sentirebbe sopraffatti da tanta grandezza. Oggi le stesse mura incutono timore. E i gabbiani sono i padroni delle vie del centro, affamati e rumorosi, gli unici ad "urlare" tra fontane, chiese e sanpietrini.
Roma in questi giorni è pulitissima, un gioiello che splende. Ed è l’ennesima prova che la sporcizia, la sciatteria, l’abbandono, non sono solo colpa della politica ma responsabilità diretta di chi ci vive senza rispettarla. Sarebbe bellissimo, quando tutto questo sarà finito, riuscire a mantenere questo livello di pulizia. E sarebbe fantastico anche riuscire a rispettare le file: ora sappiamo che si può fare, qualcosa abbiamo imparato. L'anfiteatro Flavio ha visto signori e gladiatori, plebei e senatori.
Era già lì durante la grande peste nera del 1300, la Spagnola dei primi anni del 1900, l'influenza Asiatica nel 1957, l’influenza di Hong Kong nel 1968, la Sars nel 2003 e la cosiddetta 'Suina' nel 2009. Era lì da millenni e sarà ancora lì quando si potrà uscire di nuovo di casa. Sarà lì per festeggiare con tutta Italia quando, forse con qualche timore, torneremo ad abbracciarci.