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Commercianti Palermo si ribellano a pizzo, 20 arresti

Colpo a clan Borgo vecchio, controllava feste rionali e ultras

di Lara Sirignano (ANSA) - PALERMO, 13 OTT - Fermato per strada da un "esattore" del clan, un commerciante palermitano riprende, di nascosto, col cellulare la richiesta di pizzo. E all'estortore mostra un foglio con le foto delle vittime della mafia. "Guarda questi sono Falcone e Borsellino, uccisi da Cosa nostra, ti dovresti vergognare", lo apostrofa. Un gesto impensabile fino a qualche anno fa in un quartiere come Borgo Vecchio, capillarmente controllato dai boss. E' il segno che ribellarsi è possibile.
    L'ultima inchiesta della Dda del capoluogo, che oggi ha portato al fermo di 20 persone, racconta una città diversa, dove dire no al capomafia di turno non è solo un atto di coraggio individuale, ma una scelta collettiva. Su 20 estorsioni scoperte dai carabinieri del Comando Provinciale, 14 sono stata denunciate spontaneamente dalle vittime. E cinque sono state confermate dai commercianti chiamati a testimoniare in caserma. Una novità assoluta che arriva a mettere in crisi il sistema mafioso del pizzo, gestito, al Borgo Vecchio, sotto la supervisione del capomafia Angelo Monti, vecchia conoscenza dei pm, in cella fino a tre anni fa.
    Le intercettazioni dimostrano come molti estortori sono sempre più riottosi a chiedere il denaro e preferiscono altre attività criminali ritenute più sicure e redditizie come le rapine. Temono infatti le denunce e arrivano a disegnare una mappa del quartiere scegliendo da chi andare a riscuotere senza timore di conseguenze. "In questa salumeria ci puoi andare.
    Questo pagava! Mentre da quest'altro no, questo è sbirro", dice uno dei fermati. Da alcune conversazioni registrate, poi, si capisce che alcune vittime, per non pagare, cercavano raccomandazioni. "Il gioco non vale la candela... troppo bordello ... i cristiani tutti non vogliono pagare ...", dice Giovanni Zimmardi, che insieme a Salvatore Guarino, riscuoteva il pizzo per conto di Giuseppe Gambino.
    Nonostante le reazioni di alcune vittime, comunque, il clan continuava a far cassa con le estorsioni. Un'attività sempre redditizia a cui si aggiungeva il traffico di droga, gestito dal nipote del boss Monti, Jari Ingarao, che dagli arresti domiciliari curava tutta la filiera del business: dall'approvvigionamento in Campania, alla rete dei pusher che controllavano le piazze di spaccio.
    L'inchiesta conferma il controllo capillare che il clan esercita sul quartiere Borgo Vecchio, storicamente una tra le più importanti e potenti consorterie del panorama mafioso siciliano. La presenza opprimente dei boss arrivava a condizionare perfino l'organizzazione delle feste rionali, dove i mafiosi imponevano i cantanti neomelodici a loro più vicini.
    Come Niko Pandetta, finito nelle polemiche per le sue dediche dal palco ai padrini, al 41 bis, a cui Ingarao consigliava di tatuarsi Falcone e Borsellino addosso per ripulirsi l'immagine.
    La famiglia mafiosa di Borgo Vecchio manovrava il comitato organizzatore della festa della patrona "Madre Sant'Anna" e oltre a deicdere chi dovesse esibirsi, ingaggiava i cantanti chiedendo i soldi ai commercianti con la scusa delle "riffe" o delle sponsorizzazioni. Erano sempre i boss, poi, che stabilivano chi tra gli ambulanti poteva vendere la merce durante la festa e dove dovevano essere posizionate le bancarelle.
    Racket, droga, furti, feste rionali, ma anche il calcio. Gli investigatori hanno accertato rapporti fra le tifoserie palermitane e cosa nostra, che ha sempre mostrato interesse affinché la situazione interna allo stadio fosse gestita in maniera ordinata, evitando contrasti fra gruppi di ultras rivali che avrebbero potuto causare una diminuzione di spettatori: "….Queste cose non devono esistere! - dice Ingarao, intercettato - Perché qua si sta arrivando al punto che la curva va a restare vacante, perché neanche entra alcuno allo stadio!" (ANSA).
   

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