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Imprenditore antiracket suicida a Gela, il figlio: "Giustizia ingiusta"

Imprenditore antiracket suicida a Gela, il figlio: "Giustizia ingiusta"

Rocco Greco (Riccardo, per gli amici) martedì scorso si è tolto la vita sparandosi un colpo di pistola alla tempia

01 marzo 2019, 15:37

Redazione ANSA

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Operai al lavoro in un cantiere edile - RIPRODUZIONE RISERVATA

Operai al lavoro in un cantiere edile - RIPRODUZIONE RISERVATA
Operai al lavoro in un cantiere edile - RIPRODUZIONE RISERVATA

"Mio padre è stato ucciso da una giustizia ingiusta e superficiale perché nessuno ha mai letto i nostri ricorsi". A parlare è Francesco, il giovane figlio primogenito dell'imprenditore antiracket Rocco Greco (Riccardo, per gli amici) che martedì scorso si è suicidato sparandosi un colpo di pistola alla tempia, nel cantiere della sua azienda edile, specializzata nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Una decisione, quella di Greco, messa in atto all'indomani del rifiuto opposto dal Tar di Palermo alla richiesta di sospendere la cosiddetta "interdittiva antimafia" della prefettura di Caltanissetta che l'aveva fatto escludere dalla "white list" delle imprese, come ricostruisce il quotidiano "La Repubblica". "Se non sei nella white list non lavori più", sottolinea Francesco. "Di colpo, mio padre si è trovato da cittadino coraggioso che aveva denunciato, fatto arrestare e condannare 11 esponenti del racket, a imprenditore senza appalti, costretto a licenziare i suoi 50 dipendenti e chiudere i cantieri". "Riccardo" Greco denunciò il "pizzo" nel 2007. Gli imputati si difesero accusando a loro volta l'imprenditore, che indicarono non come vittima ma come complice perché avrebbe pagato le tangenti in cambio dell'aiuto fornito dalle cosche mafiose per fargli vincere le gare d'appalto. Gli estortori furono condannati ma il pm aprì un'indagine a carico di Greco, conclusasi con l'archiviazione. La ditta continuò a lavorare e ad affermarsi in varie regioni. Ma alcuni mesi fa, quando chiese di partecipare alla ricostruzione post sisma nel Lazio, scoprì di non essere più nella "white list" delle imprese. Il Tar del Lazio esaminando il suo ricorso lo definì "soggetto debole" cioè ipoteticamente "avvicinabile" dai mafiosi. "In due mesi - dice Francesco Greco - mio padre perse 25 contratti e la stima dei fornitori che ci guardavano come se avessimo un marchio in fronte. La Raffineria dell'Eni ci ha cacciati fuori costringendoci a smantellare di sabato e domenica il cantiere". "Ecco, mio padre non accettò di essere trattato in questo modo e decise di farla finita, anche perché molti, e persino l'associazione antiracket, gli avevano girato le spalle. Ora ci chiediamo: ma può un prefetto senza alcuna prova decidere la morte di un'azienda?", conclude il figlio.

Pietro Grasso, servono risorse - "Andare incontro a chi subisce il racket attraverso l'assistenza è uno dei principi fondamentali che uno Stato deve avere. Ci sono tante misure, però non vorrei che il calo delle risorse abbia potuto determinare una diminuzione dell'appoggio nei confronti delle vittime di estorsione". Così Pietro Grasso, a margine di un suo intervento alla Scuola Allievi Carabinieri di Torino, interpellato sulla vicenda dell'imprenditore antiracket Rocco Greco, che martedì scorso si è suicidato a Gela, nel cantiere della sua azienda. "Credo - ha detto Grasso - che questo possa essere un elemento importante da rivedere, esiste un commissario antiracket che dovrebbe cercare di venire incontro a queste esigenze. Fatti come questi - ha aggiunto - sono sempre una sconfitta dello Stato, però le norme ci sono: bisogna mettere a disposizione le risorse".

Verdi, suicidio Greco dimostra inadeguatezza Salvini  - "Il suicidio di Rocco Greco, l'imprenditore simbolo della lotta al racket nella frontiera di Gela, e' un pugno allo stomaco all'Italia onesta che dimostra come il Ministero degli Interni sia senza guida, quel ministro che doveva tutelare Rocco e lo ha abbandonato. Rocco Greco è stato fermato nei suoi tentativi di ribellione contro il racket imposto dalla mafia, impedendogli, di fatto, di lavorare". Così in una nota Angelo Bonelli e Claudia Mannino, dell'esecutivo nazionale dei Verdi. "Ci domandiamo perché Salvini continui a postare i suoi pranzi e cene - sostengono i Verdi - indossare felpe e fare selfie, e non adempire alla sua funzione di ministro degli interni occupandosi della sicurezza dei cittadini italiani. Per esempio per fronteggiare la Mafia che, tramite le calunnie come nel caso di Greco, impedisce ai cittadini per bene di lavorare onestamente. Chiediamo che la Cosiam srl,azienda ora curata dal figlio di Rocco, Francesco Greco, venga immediatamente inserita nella white list per i lavori di ricostruzione dopo il terremoto in centro Italia. Cosicché possa riassumere i 50 operai che è stata costretta a licenziare a causa dell'inadeguatezza di Salvini. A questo punto Salvini si dimetta da ministro, non è in grado di curare questa funzione, lo faccia per il bene dell'Italia".

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