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Giuliano, io esule in Sardegna sono rinato

Giuliano, io esule in Sardegna sono rinato

A 73 anni ringrazia oggi Mattarella, "ci ha tolti dall'oblio"

CAGLIARI, 11 febbraio 2020, 14:00

Redazione ANSA

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Foibe: Giuliano Lodes testimone a Cagliari per Giorno del Ricordo - RIPRODUZIONE RISERVATA

Foibe: Giuliano Lodes testimone a Cagliari per Giorno del Ricordo - RIPRODUZIONE RISERVATA
Foibe: Giuliano Lodes testimone a Cagliari per Giorno del Ricordo - RIPRODUZIONE RISERVATA

di Stefano Ambu

Aveva due anni. Era il 1949.  Forse allora lui non capiva. Ma i suoi genitori sì: scampati alle foibe, stavano abbandonando Pola (che poi sarebbe diventata jugoslava) proprio per lasciare al più presto i confini. Meta dell'esodo: la lontanissima Sardegna, la terra dove ricominciare. È la testimonianza nel Giorno del Ricordo di Giuliano Lodes, 73 anni, cagliaritano d'adozione. "La mia famiglia è scappata da Pola con sette valigie - racconta durante una cerimonia a Cagliari - Era tutto quello che aveva. Fuggita per paura. E perché, sentendosi italiana, voleva rimanere italiana e non di un altro Paese. Aveva preso anche in considerazione l'idea di trasferirsi in America. Poi la scelta è caduta sulla Sardegna".

"Tutto è nato durante la guerra d'Africa. Mio padre - rievoca Giuliano - aveva conosciuto dei commilitoni sardi. Ed era stato colpito dal loro carattere e dal loro comportamento. È così che, a tavolino, aveva deciso: scappiamo in Sardegna". L'Isola, il più lontano possibile dalle terre dei padri e dei nonni ormai non più sicure. "Una terra accogliente. I miei genitori avevano effettuato dei sopralluoghi ad Alghero e a Oristano. E infine a Cagliari: il caso ha voluto che incontrassero, in un piccolo ristorante del capoluogo, un conoscente di Pola. Che aveva detto: 'se hai voglia di lavorare, questo è il posto giusto'".

Inizi difficili. "Si viveva in una casa che era anche la bottega, mio padre si occupava di forniture per sarti". Poi tutto è andato liscio. Con Giuliano Lodes che è cresciuto, ha studiato e lavorato a Cagliari sino a diventare direttore di banca. Ma senza dimenticare la sua storia e il suo passato. "Sono un profugo - dice orgogliosamente - mostrando sulla giacca lo stemma della comunità istriano-dalmata che è diventata un fondamentale punto di riferimento e di sostegno per tutti quelli che scappavano dal nord est.

"Quello che fa più rabbia a me e agli altri esuli - confessa - è il fatto che sia stata una tragedia dimenticata e quasi nascosta. Dispiace che ancora non si sia arrivati a una totale condivisione, meno male che Mattarella ha parlato di 'sciagura nazionale'. Bisogna sfatare alcuni miti: nelle Foibe finirono fascisti e antifascisti. Il regime di Tito non voleva gli italiani e dopo l'8 settembre del 1943 iniziarono a impadronirsi delle terre di chi aveva sempre vissuto lì. Impossibile rimanere ancora".
   

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