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Femminicidi: Daniela Scano, non uccidiamole due volte

Il ruolo dei media e le storie da non dimenticare. Mai

Ha citato i casi di cronaca che ha seguito personalmente da giornalista, poi ha messo l'accento sulla doppia violenza che subisce la donna: la prima dall'uomo e la seconda da come viene raccontata nei media e percepita dall'opinione pubblica, che spesso condanna la vittima. Daniela Scano, caporedattrice de La Nuova Sardegna, ha fatto gli onori di casa e ha aperto da testimonial "La conosci Giulia?", la pièce prodotta da Lucido Sottile e promossa da Corecom e Giulia Giornaliste Sardegna sul tema della violenza e le discriminazioni di genere. Subito un messaggio ai giornalisti: "dobbiamo offrire una rappresentazione mediatica senza pregiudizi", ha chiarito Scano.

Da qui il il ricordo di alcune storie che l'hanno toccata profondamente. Dal primo caso che ha seguito, cronista 26enne, quello di una ragazza stuprata da decine di maschi del suo paese in Barbagia: "Mi ha impressionato - confessa ancora oggi - l'atteggiamento di condanna verso la vittima da parte del paese". Le è poi rimasta nel cuore la storia di Monica, che non ha avuto la forza di denunciare il suo stalker finendo per essere uccisa con 52 coltellate. "Ho sentito il desiderio di raccontare di lei, dei suoi gusti, dei suoi sogni e desideri, della sua passione per la cioccolata e il profumo di rosa. Quel pezzo - ricorda - l'ho scritto piangendo come se parlassi di una vecchia amica. Ho raccontato ai ragazzi coinvolti nel progetto Nuova@Scuola questa storia perché quando passano davanti a piazza Moretti le dedichino un pensiero".

Testimonianze forti e toccanti. "Anche dopo anni appena capita l'occasione riporto alla memoria le donne che ho conosciuto attraverso gli atti giudiziari: sono impresse dentro di me - dice Daniela Scano - Alina, che non è riuscita a sfuggire all'uomo che l'ha massacrata. Da 31 anni la sua famiglia aspetta di conoscere la verità. Alina Cossu, Monica Moretti, Anna Doppiu, Michela Fiori e tutte le altre devono restare nel ricordo collettivo. Perché - spiega - le vittime troppo spesso arretrano nel buio e sulla scena restano solo gli imputati. Noi giornalisti abbiamo il dovere e il dono di riportarle in mezzo alla gente per non dimenticarle".
   

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