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In collaborazione con Università di Bari
Uno studio realizzato dai ricercatori dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro, recentemente pubblicato sul prestigioso Journal of Hepatology Report (https://www.jhep-reports.eu/article/S2589-5559(20)30137-3/fullt ext) offre un contributo per la gestione di pazienti con obesità e steatosi epatica, due patologie che coesistono frequentemente e che sono in rapida e costante progressione epidemiologica.
L'accumulo di grasso nel fegato (steatosi epatica), in particolare, è diventata - è detto in una nota dell'Università - la più comune causa di malattia epatica cronica. Alla base della steatosi vi sono alterazioni metaboliche quali sovrappeso, obesità, diabete mellito, insulino-resistenza, indipendentemente da cause virali epatiche o dall'assunzione di alcol. Se non adeguatamente diagnosticata e trattata, la steatosi epatica "non alcolica" (NAFLD) può indurre disfunzioni mitocondriali con progressive alterazioni della struttura del fegato ed evolvere verso quadri più gravi con necrosi cellulare e fibrosi sino alla cirrosi epatica e il tumore epatico (epatocarcinoma).
"Lo studio dimostra - spiega il prof. Piero Portincasa, coordinatore della ricerca - che l'accumulo di grasso può causare precocemente una riduzione della capacità del fegato di estrarre sostanze che provengono dall'intestino attraverso il flusso portale e può alterare il funzionamento dei microsomi, organelli la cui funzione è essenziale nell'epatocita. Questo tipo di evidenze ha un ruolo fondamentale per la prevenzione secondaria delle complicanze più gravi della steatosi".
"Un'altra scoperta importante - precisa Agostino Di Ciaula, tra gli autori dello studio - è che queste alterazioni possono essere riconosciute precocemente utilizzando una tecnica diagnostica facilmente eseguibile e non invasiva come il test al respiro (breath test con isotopo stabile "carbonio 13") per lo studio della funzione epatica "residua".
In collaborazione con Università di Bari
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