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Privacy, il 64% degli utenti ha perso la fiducia nelle aziende digitali

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Privacy, il 64% degli utenti ha perso la fiducia nelle aziende digitali

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Responsabilità editoriale di Federprivacy

Nel web proliferano espedienti ingannevoli e “dark pattern” che inducono gli utenti a rinunciare alle tutele sulla protezione dei loro dati personali. La circolare di Federprivacy

17 dicembre 2020, 10:38

Federprivacy

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Secondo l’ultimo rapporto rilasciato da OpSec sul barometro delle abitudini di consumo che ha coinvolto 2.600 utenti nel mondo, nel 2020 il 64% dei clienti che ha subìto una violazione dei propri dati personali afferma di aver perso la fiducia nel brand da cui aveva comprato, mentre il 28% di questi afferma di non voler più fare acquisti da quell’azienda.

A sollevare il fenomeno, e le possibili ricadute sull’economia digitale, è Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy, associazione che ha anche pubblicato una specifica circolare sulla trasparenza con il Gdpr:

“Con i numerosi trabocchetti in cui ci si imbatte in rete l’utente è trattato più come un pollo da spennare che come un potenziale cliente da fidelizzare, e non ci va di mezzo solo la privacy degli interessati, ma anche le imprese virtuose che a causa della mancanza generalizzata di trasparenza risentono della perdita di fiducia degli utenti”.

Secondo l’osservatorio di Federprivacy, una delle principali cause della crescente diffidenza nei confronti del mercato digitale è la scarsa trasparenza di siti web ed app, che spesso ricorrono a vari espedienti e ai cosiddetti “dark pattern” per indurre gli utenti a rinunciare alla loro privacy.

Tra i fenomeni più diffusi che pesano sul calo della fiducia su internet, vi è l’eccessiva lunghezza e complessità delle informative privacy che gli utenti non riescono a comprendere bene e a leggere per intero, come ad esempio quelle di Google e Facebook, entrambe lunghe circa 7.000 parole con un tempo di lettura di più di mezzora, e quella di Zoom lunga 10.000 parole, che richiede ben 45 minuti.

Ad alimentare lo scettiscismo sul web sono anche gli slogan ingannevoli dei banner sui cookie di siti ed app che richiedono il consenso per la privacy, ma che in realtà si rivelano uno strattagemma per ottenere l’autorizzazione a monitorare i comportamenti online dell’utente per profilarlo e proporgli pubblicità basata sulle sue preferenze ed abitudini di consumo.

Proliferano anche popup che non danno scampo all’utente, come quello recentemente usato da Twitter che propone come due uniche opzioni quella di “attivare gli annunci personalizzati” o quella di ricevere “annunci meno pertinenti”, senza poter rifiutare del tutto la pubblicità mirata.

Inoltre, in molti casi l’esercizio del diritto alla cancellazione previsto dal Gdpr risulta un vero e proprio percorso ad ostacoli, come nel caso di Amazon, dove per cancellare il proprio account l’utente deve attraversare ben 12 passaggi fatti di menù a tendina ed avvisi disorientanti che spesso inducono l’utente a desistere.

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