La giustizia come "un sollievo",
come qualcosa che "ti permette di vivere guardando avanti e di
non continuare a voltarti indietro". Ha portato la sua storia
personale Mario Calabresi stamani a Torino, nell'incontro che ha
aperto la prima delle 'Giornate della legalità' (in programma
fino al 13 ottobre) promosse dalla Città insieme a Fondazione
per la cultura. Il giornalista, intervenuto davanti ai circa 700
studenti che hanno popolato l'aula magna del Palagiustizia, ha
rievocato l'omicidio del padre, il commissario di polizia Luigi
Calabresi ucciso nel 1972, e il caso giudiziario che ne è
seguito, per spiegare quale è, per la sua esperienza, il "senso"
che si può attribuire al concetto di giustizia.
"Quando ero piccolo - ha raccontato - chiedevo spesso alla
mamma 'chi ha sparato a papà?'. Da studente marinavo la scuola
per andare in biblioteca a sfogliare i vecchi giornali. L'idea
di non sapere non mi dava pace. Il processo è stato il più lungo
della storia d'Italia: cominciò che dovevo dare la maturità e
terminò che ero diventato padre. Ma ciò che interessava era che
qualcuno si stesse occupando del caso, del nostro caso. E anche
dopo così tanto tempo, arrivare semplicemente a capire come era
andata in quel lontano giorno del 1972 è stato un sollievo. Una
riparazione. Una verità che ci permetteva di cominciare a vivere
senza voltarci indietro. E di non sentirci soli".
Insieme a Calabresi è intervenuta Marta Cartabia, giurista,
ex ministro della giustizia: "L'ingiustizia - ha spiegato agli
studenti - rovina le vite. Fa sanguinare i cuori delle persone e
procura un dolore incontenibile anche quando, in apparenza, è il
prodotto di fatti che potrebbero essere considerati meno gravi
di altri. Pensate a una minaccia, o al bullismo: pensate a chi
ne è vittima e si spaventa, si turba, si chiude in casa per
paura. L'ingiustizia ferisce e la giustizia deve cercare di
guarire. E a questo vale la pena di dedicare la propria vita".
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